venerdì 18 gennaio 2019

La Stampa 18.1.19
Latina
I caporali e la legge della schiavitù
“Quei migranti sono roba nostra”
di Andrea Palladino


Appaiono come ombre, alle 5 del mattino. Tra Sezze e Latina, sui lati della via Appia, cinquanta chilometri da Roma. Passano pochi minuti ed ecco i furgoni dei caporali: via, stipati, seduti uno sopra l’altro, ammassati come una merce qualsiasi. In fila i mezzi si avviano verso i campi, dal litorale romano di Anzio, fino al sud Pontino. Sono rumeni, spesso con il ruolo di caposquadra, presenza storica nella zona. E poi africani, ultimi arrivati seguendo il passa parola. Paghe da fame, poco più di 4 euro l’ora, la metà di quanto prevedono i contratti per l’agricoltura. Piegati sulla terra fino a 10, 12 ore al giorno, senza pause, appena una mezz’ora – non pagata – per consumare il pranzo. E poi il silenzio, la testa bassa e nessuna protesta. Il padrone è tutto, ti dice a quale sindacato è meglio iscriversi se vuoi mantenere il posto, se vuoi continuare a raccogliere frutta e verdura, a potare, a dissodare la terra. Decide della tua vita: se protesti sei fuori.
L’inchiesta
L’ultima inchiesta sul caporalato della Procura di Latina dipinge la normalità dello sfruttamento in terra pontina. Cifre pesanti, che fanno capire come l’assenza di diritti e l’abbattimento brutale dei costi del lavoro sia la prassi quotidiana. Le chiamano cooperative senza terra. Poco più di una partita Iva creata solo per coprire, con una parvenza di normalità, quello che per gli inquirenti è l’antica piaga del lavoro nero.
La cooperativa AgriAmici di Sezze, colpita ieri dalle indagini, non aveva mai chiesto le autorizzazioni per l’intermediazione della mano d’opera; forniva i servizi «a corpo» alle aziende agricole, anche se in realtà l’unico business erano quei furgoni stracolmi di migranti con paga da fame. Gli investigatori della Squadra mobile e del Servizio centrale operativo hanno contestato un illecito guadagno da 4 milioni di euro in appena tre anni, con la gestione di oltre 400 lavoratori irregolari forniti a decine di aziende. Tutti italiani i sei arrestati: gli imprenditori Luigi Battisti e Daniela Cerroni, della provincia di Latina, ritenuti i capi dell’organizzazione; Luca Di Pietro, formalmente il presidente della cooperativa; il segretario della Fai Cisl di Latina Marco Vaccaro, accusato di fornire la giusta copertura, e Nicola Spognardi, un ispettore del lavoro accusato di corruzione.
Le intercettazioni
Quando Luca Battisti, ritenuto il dominus del sistema di sfruttamento, parlava al telefono con un dipendente delle paghe il volto del caporale diventava feroce: «Questi cazzo di africani hanno rotto i coglioni», sbottava. Chi protestava veniva buttato fuori, per sempre: «Ha visto la busta (paga) e l’ha rilanciata sul tavolo (…) reagiscono così perché vedono a zero la busta (…) mo’ lo volevo licenzia’», commenta una dipendente in una intercettazione citata nell’ordinanza di custodia cautelare. La stessa sorte poi toccava ai lavoratori migranti che non si iscrivevano alla sigla del sindacalista amico: «Se non firmano non gli rinnovo il contratto», erano le parole dell’imprenditore Luigi Battisti al segretario della Fai Cisl Marco Vaccaro. I lavoratori per l’organizzazione erano alla fine poco meno che merce: «Quelli so’ nostri», era il commento sui lavoratori africani portati nei campi.
Quando cala il sole sulla via Appia i migranti riappaiono, in centinaia, per poche ore. I gilet gialli che indossano, mentre tornano verso le abitazioni sparse nelle campagne in bicicletta, qui sono il segno dello sfruttamento. Italianissimo. Spariscono tra i casolari, tra indifferenza e malcelato razzismo: «Sono ovunque, come la gramigna», commenta una negoziante in uno dei tanti borghi di Latina. È buio, tra qualche ora ripartono i pulmini dei caporali.