il manifesto 18.1.19
A Latina il mondo di sopra del caporalato
di Marco Omizzolo
Una
gerarchia chiara e consolidata, dall’ultimo anello della catena – i
braccianti migranti sfruttati – fino ai colletti bianchi
dell’Ispettorato del lavoro e del sindacato. Pezzi deviati dello Stato,
che agiscono per i loro interessi a discapito dei diritti e la dignità
di centinaia di braccianti.
A Latina e dintorni, come ha
confermato l’operazione dello Sco della Polizia condotta dalla Questura
di Latina e della Procura della Repubblica, la macchina era ben oliata e
funzionava perfettamente: almeno 500 persone reclutate e portate a
lavorare nei campi con l’ausilio di autisti e capisquadra romeni. Una
finta cooperativa agricola, Agriamici, faceva da agenzia di
somministrazione di lavoro, ovviamente senza essere iscritta
nell’apposito albo, e riforniva le aziende agricole locali di braccia
per la raccolta.
A fornire i mezzi di trasporto era un’altra
società, la Ellebi. Insomma, ad essere stato scoperto, finalmente, è il
mondo di sopra del caporalato, ossia quell’insieme di professonisti e
funzionari pubblici che da decenni consentono a padroni, padroni,
caporali e sfruttatori vari della provincia di Latina di agire nella
piena illegalità, fino a ridurre in schiavitù i lavoratori e tra questi,
soprattutto migranti rumeni e richiedenti asilo subsahariani.
Un
dipendente dell’Ispettorato nazionale del lavoro e il segretario della
Fai Cisl della provincia di Latina fornivano le coperture necessarie e
inoltre fornivano le necessarie informazioni agli sfruttatori per
evitare controlli di ogni genere. Per la precisione, recita l’ordinanza
di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Latina, Gaetano
Negro, su richiesta del Procuratore Carlo Lasperanza e del sostituto
Luigia Spinelli, «consentivano la sopravvivenza della organizzazione ai
controlli ispettivi e alle denunce-querele nel tempo inoltrate, tramite
vantaggi patrimoniali quali l’adesione forzata della manodopera al
sindacato e/o il lucro derivante dalla organizzazione di corsi sulla
sicurezza sul lavoro per opera della pseudo-cooperativa indicata».
Insomma, colletti bianchi del caporalato che agivano per interesse
proprio e dei padroni.
I nomi e i cognomi dei sei arrestati di
ieri e dei 50 indagati – imprenditori agricoli, commercialisti, altri
sindacalisti a piede libero raccontano di un pezzo di territorio dedito
allo sfruttamento, alla produzione di buste paga finte, alla riduzione
al minimo di ogni costo per massimizzare i profitti.
A conferma
delle denunce che per anni hanno fatto realtà come In Migrazione, Flai
Cgil e la stessa comunità degli indiani del Lazio e soprattutto i sikh,
che proprio a Latina organizzarono uno dei maggiori scioperi degli
ultimi decenni, con oltre quattromila braccainti indiani che il 18
aprile del 2016 manifestarono nel capoluogo pontino reclamando diritti,
giustizia e il rispetto del loro contratto di lavoro. Alcuni dei
braccianti erano richiedenti asilo che uscivano ogni mattina dai centri
di accoglienza e soprattutto da alcuni Cas locali, nei quali attendevano
il riconoscimento della protezione internazionale. Anche in questo caso
la peggior prima accoglienza che si associa criminalmente al caporalato
e allo sfruttamento lavorativo. Stipati in venti in un pullmino, pagati
un terzo rispetto alle ore di lavoro effettive, almeno 12 al giorno,
sottoposti a una vera e propria estorsione con l’obbligo di iscriversi
al sindacato Cisl per garantire a questo i ritorni economici necessari
in termini di domande di disoccupazione che lo Stato avrebbe garantito.