La Stampa 11.1.19
20 anni senza Faber
Dori Ghezzi: “Ancora tanti sentono Fabrizio vicino come fosse la loro guida”
intervista di Marinella Venegoni
Vent’anni
e non sentirli. Dire ancora «Abitiamo in via taldeitali», come se i
vent’anni che suonano oggi dalla partenza da questo mondo di Fabrizio De
André non esistessero, se non nel tempo fuori del sé. Dori Ghezzi è la
vedova meno canonica e anche la più bella, cantante e partner amorosa e
artistica di un’icona ancora celebre e amata, anzi persino un po’ di più
di quando nel 1999 ci lasciò senza canzoni da aspettare. Confessa di
«impazzire di telefonate» in questi giorni che replicano il lutto. E ci
apre (un po’) il suo cuore.
Cara Dori, gli anni passano. E lei ha fatto tanto lavoro, per ricordare Fabrizio.
«Non io, la gente. Abbiamo seguito gli altri. Abbiamo un problema di sovraesposizione. Tanti lo sentono vicino».
Cos’è rimasto di De André nell’immaginario collettivo?
«L’aspetto autentico. Non quello di artista, lo pensano come una persona-guida. È impressionante il rapporto di appartenenza».
Eppure le sue non erano canzoni semplici.
«Ha
cambiato di volta in volta. Ha affrontato anche esperimenti rischiosi.
Ma il pubblico lo capiva, era quasi una missione. Lui rispettava quel
suo pubblico».
Un artista che si macerava nella scrittura.
«Voleva
rappresentare il domani. Ancora adesso, nei fatti di cronaca, si fa
riferimento alle sue canzoni. È stato capito profondamente, la gente non
è così superficiale, mai sottovalutare. Diceva: debbo essere
imprevedibile. Aveva il coraggio di dare sempre qualcosa di diverso».
In questi anni di migranti, sembra di sentirgli cantareKhorakhanéoAnime Salve, colonna sonora di un dramma.
«Ogni
anno mettiamo un pensiero di Fabrizio sulla sua homepage. Quest’anno
abbiamo messo “Anime salve in terra e in mare”. Sarebbe inorridito da
ciò che sta accadendo. Non ci rendiamo conto di essere responsabili di
questa situazione. Noi gli abbiamo preso tutto, saccheggiato i loro
Paesi, e loro sono scappati. Dobbiamo dare la possibilità di stare bene,
abbiamo creato il problema, dobbiamo risolverlo».
Com’era Fabrizio con il prossimo?
«Era
bravo ad ascoltare, non pontificava mai. Ti faceva dire quel che non
sapevi. Lo ha fatto anche con i suoi collaboratori, da loro ha tirato
fuori il meglio. Pensi al giovanissimo Piovani con i suoi arrangiamenti
di Non al denaro non all’amore e Storia di un impiegato. O a Francesco
De Gregori: il 4 aprile 1974 compiva 23 anni e andammo a prenderlo a
Roma per partire per la Sardegna e da lì cominciò la collaborazione. Con
Fossati era maturità comune e la testa in sintonia. Ha cercato sempre
il collaboratore idoneo».
Non amava lavorare da solo?
«Intanto
non sarebbe stato così duttile, è un atto di umiltà che paga. Aveva
bisogno di stimoli anche nei tempi, altrimenti un disco non lo avrebbe
mai finito. La sua grandezza è anche nel dire: io da solo non lo avrei
potuto fare. Non si riteneva un musicista. E ogni disco è diverso
dall’altro, non li confondi. Ecco perché sul piano culturale è ancora
considerato maestro di pensiero».
Lei è sempre stata testimone degli incontri...
«Lo spartiacque privato e artistico fu Amico fragile. Da lì comincia i concerti, e un modo diverso di affrontare la vita».
Si è divertita?
«Sono
stata miracolata da una vita così. Era difficile ma generoso, ti dava
tanto. Ci stavano anche le litigate e mi mancano anche quelle. Con lui
non ci si annoiava mai. Bisticciare è un modo per conoscersi. Il mondo
musicale passato non lo sentivo mio, cantavo cose in cui spesso non
credevo. I miei gusti sono sempre stati molto blues e country blues, ma
spopolò Casatchok e ancora adesso non hanno capito che era stata
snaturata una canzone della rivoluzione russa».
Grillo aveva una devozione per Fabrizio.
«Anche
qui Fabrizio dava e prendeva. Ha molto sofferto quando lui è morto: era
un rapporto famigliare. Ha preso altre strade ma non amo neanche
giudicarlo, lo vedo sempre come un fratello. Fabrizio si preoccuperebbe
che non andasse a farsi male, penso lo avrebbe sconsigliato; sono
situazioni in cui rischi di soffrire molto. Ma Beppe ha sempre fatto
politica, anche a teatro, e divertendoci. A me piaceva, in quella veste
lì».
E Nanda Pivano, cos’era per voi?
«La sorellina minore,
perché era più gioiosa e giovanile di noi. Mi ha insegnato molto con il
suo desiderio di capire i giovani, farli parlare, dialogare in sintonia.
Anche con lei era un rapporto di famiglia, stava con noi come altri
amici che famiglia non ne avevano».