domenica 20 gennaio 2019

Il Sole Domenica 20.1.19
Una Camera per il Duce
19 gennaio 1939. Con l’abolizione della Camera dei deputati, ultimo residuo dello Stato liberale, si portò a compimento il processo totalitario iniziato con l’avvento del fascismo
di Emilio Gentile


«Lo Stato totalitario non è più un semplice postulato teorico, per superare le contraddizioni della democrazia parlamentare ... E appunto la felice e costruttiva esperienza della nostra Assemblea porta nuova luce sull’istituto legislativo, mediante il quale ... la profonda trasformazione operata dal Fascismo nella struttura sociale del Paese viene a mano a mano acquisita allo ordinamento giuridico».
Con queste parole Dino Grandi, presidente della Camera dei fasci e delle corporazioni, definiva il significato storico della nuova assemblea costituzionale da lui presieduta, istituita il 19 gennaio 1939, in seguito alla soppressione della Camera dei deputati per volontà del duce, che portò così a compimento il processo totalitario di demolizione dello Stato liberale, iniziata fin dall’avvento del fascismo al potere. Nel corso di diciassette anni, il duce attuò gradualmente ma costantemente la radicale trasformazione dello Stato monarchico, abolendo il regime rappresentativo che aveva governato il regno d’Italia dal 1861.
Il partito fascista, fin dalla sua ascesa al potere, aveva brutalmente negato la sovranità popolare, mentre praticamente distruggeva con la violenza squadrista i partiti avversari. Dopo il 1925, avviò la costruzione del regime totalitario, come fu definito dagli antifascisti, esautorando i poteri del Parlamento per concentrarli nella persona di Mussolini come capo del governo. Nel novembre 1926, quando i deputati antifascisti furono dichiarati decaduti e i loro partiti messi al bando come nemici della nazione, lo Stato italiano divenne regime a partito unico. Due anni dopo, il 17 maggio 1928, una riforma della rappresentanza politica istituì il collegio unico per l’elezione dei deputati, e assegnò al Gran Consiglio, che era l’organo supremo del partito fascista creato da Mussolini alla fine del 1922, la prerogativa di formare una lista di candidati alla Camera, che gli elettori potevano solo approvare o respingere in blocco. Il Gran Consiglio fu trasformato in supremo organo costituzionale del regime fascista, con la facoltà di tenere aggiornata la lista di eventuali successori alla carica di capo del governo, cioè di eventuali successori di Mussolini, e di intervenire nella successione al trono, menomando così gravemente l’istituto monarchico.
La sopravvivenza della forma plebiscitaria per le elezioni della Camera, nel 1929 e nel 1934, non era una residua parvenza di sovranità popolare. Nessuna eventuale maggioranza di elettori contrari alla lista del Gran Consiglio avrebbe comportato una qualsiasi crisi del regime totalitario. Mussolini lo aveva detto chiaro e netto alla vigilia del plebiscito del 1929: «Ho appena bisogno di ricordare tuttavia, che una rivoluzione può farsi consacrare da un plebiscito, giammai rovesciare». Il fascismo si compiaceva di ostentare il consenso popolare, ma fondava esclusivamente sulla forza la sua esistenza.
La soppressione della Camera dei deputati, sostituita dalla Camera dei fasci e delle corporazioni, fu l’atto finale della demolizione. Con l’istituzione della Camera dei fasci e delle corporazioni fu annientato qualsiasi residuo della rappresentanza popolare. La nuova Camera non era elettiva, ma formata dai membri del Consiglio nazionale del partito fascista e del Consiglio nazionale delle corporazioni, i quali assumevano la qualità di consiglieri nazionali della nuova Camera con «decreto del DUCE del Fascismo, Capo del Governo». Per i consiglieri nazionali, il limite minimo di età era stabilito a venticinque anni. Essi godevano delle prerogative precedentemente riconosciute ai deputati dallo Statuto, ma decadevano dalla carica nel momento stesso in cui decadevano dalla funzione esercitata nel Consiglio nazionale del partito fascista e in quello delle corporazioni. Insieme ai senatori, i componenti della nuova Camera avevano soltanto il compito di collaborare con il duce e il governo alla formazione delle leggi. Il duce e i gerarchi del Gran Consiglio ne erano membri di diritto.
Vittorio Emanuele III non reagì all’ennesima demolizione delle istituzioni fondamentali dello Stato monarchico, accompagnata dalla continua erosione della sua autorità sovrana da parte del duce. Ma durante la cerimonia di inaugurazione della nuova Camera, il 23 marzo 1939, il re apparve molto di malumore. E il suo malumore dovette acuirsi un paio di anni dopo, alla lettura del resoconto ufficiale sull’attività dalla Camera dei fasci e delle corporazioni, dove era affermato che l’istituzione della nuova Camera consolidava l’identificazione della «qualifica di Duce o meglio Duce del Fascismo, collegata all’altra di Capo del Governo … cioè la guida, il Capo supremo del Regime, che si identifica ormai indissolubilmente con lo Stato». Il che equivaleva a dire, per proprietà transitiva, che il duce si identificava ormai con il capo dello Stato.
La Camera dei fasci e delle corporazioni fu abolita dopo il crollo del regime fascista, travolto dalla catastrofe militare, con un regio decreto legge del 2 agosto 1943, che fissava l’elezione di una nuova Camera dei deputati dopo la fine della guerra. Il ripristino della Camera dei deputati e l’istituzione di un Senato elettivo nell’Italia repubblicana sancirono la rivincita della sovranità popolare su uno dei suoi più formidabili nemici, definitivamente debellato dagli Alleati e dalla Resistenza antifascista.
E’ tuttavia probabile che l’anniversario della istituzione della Camera dei fasci e delle corporazioni, sollecitando analogie e confronti con i recenti progetti di riforma delle Camere e la crisi attuale delle istituzioni rappresentative, provocherà nuovi appelli alla mobilitazione antifascista contro il fascismo che ritorna, sia pure con nuove sembianze, e persino con i movimenti populisti, che si appellano alla sovranità popolare e reclamano addirittura la democrazia diretta. Però, se esiste un fascismo che perpetuamente ritorna, ciò significa che l’antifascismo, di fronte a un “fascismo eterno” è destinato alla perenne sconfitta. A tali paradossi giunge un uso pubblico della storia, che in realtà non è storia ma “astoriologia”, ed ha con la storia lo stesso rapporto che l’astrologia ha con l’astronomia.