domenica 20 gennaio 2019

Il Sole Domenica 20.1.19
Enrico Letta. Il lavoro dell’ex premier è una rilettura profonda di ciò che è stato, in cui fa i conti con i propri errori. La distanza da rottamazioni e ruspismo, la centralità dei giovani
di Alberto Orioli


Imparare da un’auto-analisi
Ho imparato è un titolo felice. Cauterizza, in una narrativa di auto-analisi più che di sola enunciazione politica, la ferita del brusco cambio della guardia a Palazzo Chigi nel 2014. Enrico Letta, con questo volume che rivendica un modo diverso di declinare la radicalità del pensiero rispetto alla volgarità delle rottamazioni o del ruspismo, sublima, pagina dopo pagina, un lutto politico.
L’ex premier ha deciso di fare altro, un esilio culturale prima che geografico: è a capo della Scuola di affari internazionali dell’Università Sciences Po di Parigi e fondatore della Scuola di politiche, due centri di eccellenza di formazione delle nuove classi dirigenti globali. OraLetta cerca di evitare il rischio di far finire la sua storia istituzionale soltanto nella foto della cerimonia del passaggio della campanella a Palazzo Chigi, dove protagonista assoluta era una esibita e rancorosa frustrazione. Pur se comprensibile, perché frutto del machiavellismo renziano affidato al celebre #enricostaisereno, quella sola istantanea dell’insofferenza avrebbe inficiato il suo intero, ragguardevole cursus honorum.
E il volume diventa innanzitutto una rilettura profonda di ciò che è stato e costringe a fare i conti con gli errori, con la tecnica dell’esame di coscienza di chi è e resta cattolico. C’è lo straniamento di chi non sa più riconoscersi nel nuovo bazar dell’offerta politica, gridata, mutevole e tutta affidata alla propaganda dell’istante. Ma c’è la volontà di chi sa di essere élite sconfitta e intende scendere dalla torre della sapienza presunta per incontrare il Paese vero. A cominciare dai giovani, vera energia per ripensare un futuro diverso. Ai giovani che ha incontrato in questi anni da docente, Letta deve molto, probabilmente la stessa scelta di tornare in campo, sia pure per ora solo come estensore di un sorta di programma-confessione.
Se oggi l’Italia è questa - è la tesi di Letta - è perché prima qualcuno ha sbagliato (compreso l’autore del libro, naturalmente). «Mi impongo di mettere in discussione codici anche personali che giudicavo insuperabili. Studi o dossier che consideravo meno prioritari. Cerco di capire la rabbia e la frustrazione senza tuttavia cedere all’istinto di chiusura e recriminazione che talvolta leggo nelle reazioni di molti miei ex colleghi». È in queste righe il mood del volume. “Pensare l’impensabile” è lo slogan di fondo. Per qualcosa che non potrà restare solo una rilettura intimista di ciò che è stato. Ma che ha tutto il sembiante di un nucleo di pensiero politico ad uso di nuove comunità in cerca di aggregazione e di riconoscibilità (non a caso il libro è anche un esperimento editoriale di “Instabook”: le tesi del volume avranno una vita ulteriore tramite forum via Instagram discusse in un giro d’Italia interattivo). Non si sa se sia un gesto tardivo, ma l’ambizione di Letta è l’avvio di un nuovo «progetto collettivo».
Guai però a cadere nella trappola della nostalgia di un tempo che fu della “buona politica”, migliore e più nobile (per Letta quello ante-populismo non era certo un Eldorado e i politici degni di omaggio restano assai pochi, primo tra tutti il suo maestro Nino Andreatta). Niente «egotismi retroattivi, né livori o ossessioni della rivalsa»: è il tempo dell’apertura e dell’ascolto che, possibilmente, finisca in uno scambio virtuoso pur senza escludere che diventi conflitto e magari scontro. E questa è forse l’ammissione più difficile per il Letta politico, disarcionato proprio perché accusato di aver voluto temporeggiare su temi prioritari ma forieri di inevitabili scontri. L’importante - dice Letta - è non confondere «l’essenza del conflitto a partire dalle ragioni che lo determinano, con la sua pratica». Se ciò è chiaro, si arriva alla mediazione come bussola politica, non alla radicalizzazione esasperata e inconcludente. Il recupero dei valori fondanti (mai negoziabili) e di una competenza che non sia snobismo e si traduca in rappresentanza politica effettiva sono ancoraggi importanti. A questo fine non considera utile la proposta di Carlo Calenda (di cui condivide parte dell’analisi in Orizzonti selvaggi, edito da Feltrinelli) di creare un Fronte repubblicano del tutti contro Lega e M5s. «Uno schema potenzialmente letale», troppo elitario e troppo improntato all’idea del nemico. Di fatto un favore agli avversari che così si ricompattano.
Umiltà è parola che compare spesso. Poi c’è il coraggio, diviso in tre forme: quello della realtà (anche se non ci piace); quello del limite (a partire dai propri); e infine quello dell’immaginazione, il più importante anche perché costa fatica vera. «L’immaginazione conta più della conoscenza» era, non a caso, uno degli slogan preferiti da Albert Einstein.
In questo libro la cornice umana e psicologica è forse più importante dei contenuti che intende veicolare. Che tuttavia non mancano, anche se in gran parte soltanto sbozzati, data l’ambizione della loro rilevanza. «L’Italia mondiale» è quella che Letta vede proiettata nel mondo, frutto anche di una rilettura critica della globalizzazione, e ridisegnata sulla base di un nuovo modello di sviluppo improntato alla sostenibilità, ambientale ma soprattutto sociale così come suggerisce anche Papa Francesco. Nel suo percorso ci sono anche i sindacalisti negli organi direttivi dell’impresa: una mittbestimmung all’italiana, la partecipazione come antitesi della disintermediazione sociale, cara a Renzi e ai Cinque Stelle.
Naturalmente l’Europa come «spazio privilegiato della speranza umana» (definizione del Preambolo della Costituzione europea poi naufragata) resta l’approdo centrale, soprattutto in un mondo che cambia fisionomia con inattesa rapidità: decisivo il 2019 con Brexit, il nuovo ruolo della Germania,le elezioni europee più sentite di sempre, la prima fila dei leader tutta da rinnovare (a partire dalla Bce). L’immigrazione è il fenomeno chiave del nostro secolo e Letta suggerisce una gestione effettivamente (e finalmente) europea anche con un supervicepresidente dedicato a questo. In chiave nazionale invece propone una declinazione degli ingressi legati al mercato del lavoro sul modello canadese. L’innovazione più dirompente e più discutibile è tutta politica: una legislatura di tre anni (e non cinque) per adeguare le decisioni e il ritmo della politica alla metrica del nuovo tempo imposto dalla società dell’online e del tempo reale.
C’è una trama; ci sarà tempo per svolgimenti più dettagliati. Per ora Letta si è messo in cammino con l’idea che, quando soffia forte il vento, più che muri occorre costruire mulini per sfruttarne l’energia. È un proverbio cinese, da non confondere con il Don Chisciotte di Cervantes. Altrimenti siamo daccapo.
Ho imparato Enrico Letta
Il Mulino, Bologna, pagg. 188, € 15