Il Sole Domenica 20.1.19
Dispacci dall’Urss. Il duello a
distanza tra Walter Duranty e Gareth Jones, cronisti nella Russia degli
anni ’30 colpita dalla grande carestia
Il reporter che rivelò le bugie di Stalin
di Anne Applebaum
Negli
anni Trenta i membri della stampa estera a Mosca conducevano
un’esistenza precaria. Per vivere in Urss, e anche per svolgere il loro
lavoro, avevano bisogno del permesso dello Stato. Senza una firma e il
timbro ufficiale del dipartimento stampa, l'ufficio centrale del
telegrafo non inviava all’estero alcun dispaccio. Per ottenere quel
permesso, i giornalisti contrattavano sistematicamente con i censori del
commissariato del popolo agli Esteri su quali parole potevano essere
usate e cercavano di mantenersi in buoni rapporti con Konstantin
Umanskij, il funzionario sovietico responsabile del corpo stampa estera.
William Henry Chamberlin, allora corrispondente da Mosca del «Christian
Science Monitor», scrisse che il corrispondente estero che rifiutava di
ammorbidire i suoi articoli «lavora sotto una spada di Damocle: la
minaccia dell’espulsione dal paese o del rifiuto dell'autorizzazione a
rientrarvi, il che è ovviamente la stessa cosa».
Chi si prestava
particolarmente bene al gioco, come Walter Duranty, poteva ricevere
premi extra. Duranty fu corrispondente del «New York Times» a Mosca dal
1922 al 1936, un ruolo che, per un certo periodo, lo rese relativamente
ricco e famoso. Nato in Gran Bretagna, non aveva legami con la sinistra
ideologica; la sua posizione era quella di un «realista» testardo e
scettico, che cercava di ascoltare sempre le due versioni di una storia.
(...)
Tale posizione rese Duranty utilissimo al regime, che fece
del suo meglio per assicurarsi che a Mosca vivesse bene. Disponeva di un
grande appartamento, aveva un’auto e un’amante, le porte gli si
aprivano più che a qualunque altro corrispondente, e per due volte gli
furono concesse ambite interviste a Stalin. Ma la motivazione principale
dei suoi lusinghieri servizi sull’Urss fu, sembra, l’attenzione che
essi gli conquistarono. I suoi reportages da Mosca fecero di lui uno dei
giornalisti più influenti del tempo. Nel 1932 la sua serie di articoli
sui successi della collettivizzazione e sul piano quinquennale gli fece
vincere il premio Pulitzer. Poco dopo Roosevelt, allora governatore di
New York, invitò Duranty nella sua residenza ufficiale di Albany, dove
il candidato democratico alla presidenza lo subissò di domande.
«Stavolta ho fatto io le domande. È stato affascinante» avrebbe detto
Roosevelt a un altro reporter.
Con l’aggravarsi della carestia
Duranty, come i suoi colleghi, dovette rendersi perfettamente conto
della volontà del regime di nasconderla. Nel 1933 il commissariato del
popolo agli Esteri iniziò a imporre ai corrispondenti di presentare una
proposta di itinerario prima di ogni viaggio nelle province, e tutte le
richieste di visitare l’Ucraina venivano respinte. I censori iniziarono
anche a controllare i dispacci. (...) In una simile atmosfera pochi
corrispondenti erano inclini a scrivere della carestia, anche se tutti
ne erano al corrente (...).
La riluttanza di Duranty a scrivere
della carestia era forse particolarmente forte, e getta dei dubbi sui
suoi precedenti, lusinghieri servizi (che gli valsero il Pulitzer). Ma
in questo egli non fu il solo. Eugene Lyons, corrispondente da Mosca
dell’«United Press» e, in giovinezza, marxista entusiasta, avrebbe
scritto anni dopo che tutti gli stranieri in città erano ben consapevoli
di quanto stava accadendo in Ucraina, oltre che in Kazakistan e nella
regione del Volga: «La verità è che non cercavamo conferme di sorta,
perché non avevamo alcun dubbio su quello che accadeva. Vi sono fatti
troppo grandi per richiedere conferme di testimoni». […]
Tutti
sapevano, eppure nessuno parlava. Da qui la straordinaria reazione sia
dell'establishment sovietico sia dei membri della stampa estera a Mosca
alla bravata giornalistica di Gareth Jones. Jones era un giovane
gallese; all’epoca del suo viaggio in Urss, nel 1933, aveva solo
ventisette anni. Forse su ispirazione della madre che, da giovane, era
stata governante in casa di John Hughes, imprenditore gallese che aveva
fondato la città di Donec’k, aveva studiato russo, oltre che francese e
tedesco, all’università di Cambridge. Poi aveva trovato lavoro come
segretario privato di David Lloyd George, ex primo ministro britannico.
Nello stesso tempo aveva iniziato a scrivere da freelance di politica
europea e sovietica. All’inizio del 1932, prima che i viaggi venissero
vietati, Jones (accompagnato da Jack Heinz II, erede dell’impero del
ketchup) s’era recato nelle campagne sovietiche, dormendo in villaggi su
«pavimenti infestati di cimici», ed era stato testimone degli inizi
della carestia.
Nella primavera del 1933 tornò a Mosca, questa
volta con un visto concessogli soprattutto perché lavorava per Lloyd
George (portava la stampigliatura «Besplatno», «Gratis», un segno di
favore ufficiale sovietico). Ivan Majskij, l’ambasciatore sovietico a
Londra, era particolarmente desideroso di fare impressione sull’ex primo
ministro e aveva esercitato pressioni a favore di Jones. Appena
arrivato, il giovane girò per la capitale sovietica, incontrando altri
corrispondenti stranieri e funzionari. Lyons l’avrebbe ricordato come
«serio, meticoloso, piccolo, […] il tipo di uomo che porta un taccuino
e, senza vergognarsi, prende nota delle vostre parole mentre parlate».
Incontrò anche Umanskij, gli mostrò un invito a rendere visita al
console generale tedesco a Charkiv e chiese di potersi recare in
Ucraina. Umanskij accondiscese. Così, con l’approvazione ufficiale,
Jones partì per il sud.
Salì su un treno a Mosca il 10 marzo, ma,
invece di andare direttamente a Charkiv, scese una sessantina di
chilometri a nord della città. Caricatosi sulle spalle uno zaino pieno
di «molte pagnotte di pane bianco, burro, formaggio, carne e cioccolato
comprati con valuta estera», s’incamminò verso Charkiv seguendo i binari
della ferrovia. In tre giorni, senza alcuna scorta e nessun controllo
ufficiale, attraversò più di venti villaggi e fattorie collettive
all'apice della carestia (...).
Jones dormiva sul pavimento in
capanne contadine. Condivideva il cibo che aveva con la gente e
l’ascoltava. «Hanno cercato di portarmi via le mie icone, ma io ho detto
sono un contadino, non un cane» gli disse uno. «Quando credevamo in Dio
eravamo felici e vivevamo bene. Quando hanno provato a fare a meno di
Dio, siamo diventati affamati». (....)
A Charkiv Jones continuò a
tenere appunti. (...) Cercò anche di incontrare un collega di Umanskij,
ma non riuscì mai a parlargli. Silenziosamente, uscì dall’Unione
Sovietica. Pochi giorni dopo, il 30 marzo, fece la sua comparsa a
Berlino a una conferenza stampa (...). Lì dichiarò che tutta l’Unione
Sovietica era colpita da una grave carestia, e raccontò: «Ovunque si
gridava “non ’'è pane. Stiamo morendo”(....) “Aspettiamo la morte”: con
queste parole mi davano il benvenuto. “Vede, abbiamo ancora del foraggio
per il bestiame. Vada più a sud. Lì non hanno niente. Molte case sono
vuote: la gente è già morta”» . (....)
Sulla scia immediata della
conferenza stampa di Jones, Litvinov vietò ancora più rigorosamente ai
giornalisti di uscire da Mosca. (...) I giornalisti stranieri a Mosca
s’infuriarono ancora di più. Tutti, è chiaro, sapevano che quello che
Jones aveva raccontato corrispondeva a verità, e alcuni stavano già
cercando un modo per raccontare la stessa storia (...). Gli altri membri
della stampa estera, tuttavia, che dipendevano dalla buona volontà
ufficiale, serrarono i ranghi contro Jones. Quanto accadde fu
scrupolosamente raccontato da Lyons: «Smentire Jones fu il colmo delle
cose poco belle che avessimo mai fatto per compiacere la dittatura
sovietica, ma lo smentimmo unanimemente». (...)
Indignato, Jones
scrisse al direttore del «New York Times» una lettera elencando
pazientemente le sue fonti - un enorme numero di interviste alle persone
più varie, fra cui oltre venti consoli e diplomatici - e attaccando i
giornalisti stranieri a Mosca. (...)
A questo punto la questione
fu lasciata cadere. Jones non poteva competere con Duranty, più famoso,
più letto e più credibile. Nessuno, inoltre, mise le affermazioni di
quest’ultimo in discussione.
Più tardi Lyons, Chamberlin e altri
si sarebbero rammaricati di non averlo contestato più duramente. Ma
all’epoca nessuno prese le difese di Jones, neanche Muggeridge, fra i
pochi corrispondenti da Mosca che avevano avuto il coraggio di esprimere
opinioni simili.
Quanto a Jones, fu rapito e assassinato da briganti cinesi nel 1935 mentre era nel Manchukuo per scrivere dei reportages.