lunedì 14 gennaio 2019

Il Sole Domenica 13.1.19
Elfriede Jelinek
Il nazismo irrisolto e il gioco al massacro di una generazione
di Marta Morazzoni

Intellettuale impegnata sul fronte del femminismo e in polemica col suo paese, l’Austria, su cui riversa una critica feroce e rabbiosa, Elfriede Jelinek è stata premio Nobel per la letteratura nel 2004, una scelta dell’accademia di Stoccolma che sembra aver sorpreso la scrittrice per prima. D’altra parte il suo stile, la determinazione a colpire là dove emergono le distorsioni di una società intaccata da una irrisolta patina di nazismo l’hanno messa in luce sulla scena culturale come una personalità di spicco, mai gratuitamente provocatoria. È appunto questa graffiante provocazione a toccare, non senza disagio, il lettore che la avvicini la prima volta nel tramite del romanzo Gli esclusi.
L’opera nasce alla fine degli anni ’70 come radiodramma e prende spunto da un fatto di cronaca nella Vienna degli anni ’60, un delitto efferato, che però, nelle intenzioni della Jelinek non si tramuta in un giallo, ma è la meta di un percorso analizzato, contestualizzato con precisione nella realtà piccolo borghese della capitale austriaca, uno scorcio di vita su cui è arduo fissare lo sguardo; nondimeno l’autrice da lì non toglie gli occhi e fa in modo che il lettore, facendosi strada nei meandri di un ambiente torbido, capisca di passo in passo la radice profonda delle cose.
Quattro ragazzi sui diciott’anni, dei quali due di famiglia piccolo borghese con il padre dal convinto passato nazista, uno figlio di operai comunisti e una ragazza della buona borghesia della capitale: questi i protagonisti, una miscellanea di culture esplosiva, su cui incidono frustrazioni, aspirazioni e velleità che minano i caratteri dei quattro. Il quadro è desolante, verrebbe da dire colpevolmente desolante, sia che alle spalle dei giovani ci sia il marcio di nostalgie totalitarie, sia che vi si scorga la frustrazione delle speranze in una società nuova, mentre a dominare la scena è sempre e comunque la ricchezza alto borghese. Gli accadimenti che si assommano nel romanzo, tra atti di feroce bullismo e aspirazioni ad una superiore altezza morale nell’arte (uno dei due fratelli si sente poeta e la sorella sembra esprimersi solo attraverso la musica), hanno un impatto forte sul lettore soprattutto per lo struttura che la Jelinek costruisce nel procedimento narrativo, con un linguaggio che si fa carne del personaggio narrato, ne traduce pulsioni e repulsioni, accentuando la fisicità come elemento esposto senza veli e senza reticenze.
La durezza è una carta che l’autrice gioca con energia, non risparmiando nulla al lettore, il concetto di omissione e allusione non la interessa e lo si può capire! Ci sono nella ferocia della sua analisi e del suo sguardo sulla società austriaca rabbia e disillusione. Viene in mente, anche per una questione geografica, Thomas Bernhardt. Allo scrittore austro-olandese non faceva difetto l’arma della scrittura come un bisturi con cui sezionare il corpo vivo della società senza provarne alcuna compassione. E in questa determinazione, nella coerenza stilistica che le dà voce sta la sua grandezza.
La Jelinek è, come dire? più appassionata e tormentata nell’affondo sugli umori di una società guardata e giudicata con lucidità, ed ecco allora l’insistenza sul germe della violenza e della volgarità, sul disagio nascosto come sporco sotto il tappeto, sulla ripugnanza fisica che alcuni caratteri, vedi il padre di Anna e Reiner, ispirano, mentre la figura debole e soccombente della madre non trova la nostra solidarietà. La Vienna che nel romanzo si delinea è una città opaca, che non ha niente da spartire con il ritratto convenzionale dell’Austria felix, piuttosto ha in sé le stigmate del suo periodo più oscuro, da cui la piccola borghesia, vista dagli occhi di Reiner, è sporcata. E l’idea di sudicio è forse la più presente sulla scena, che la Jelinek declina con un linguaggio diretto, eliminando la funzione del narratore per lasciarci sentire le voci dei protagonisti, il timbro aspro che corre libero e non ha mediazioni. Leggerla chiede attenzione al ritmo, al gioco di contrasto tra la musica alta cui aspirare e la sordida orchestrina di voci che accompagna il gioco al massacro di una generazione.
Gli esclusi
Elfriede Jelinek
traduzione di Nicoletta Giacon,
La nave di Teseo, Milano,
pagg. 314, € 20