Il Sole Domenica 13.1.19
Elfriede Jelinek
Il nazismo irrisolto e il gioco al massacro di una generazione
di Marta Morazzoni
Intellettuale
impegnata sul fronte del femminismo e in polemica col suo paese,
l’Austria, su cui riversa una critica feroce e rabbiosa, Elfriede
Jelinek è stata premio Nobel per la letteratura nel 2004, una scelta
dell’accademia di Stoccolma che sembra aver sorpreso la scrittrice per
prima. D’altra parte il suo stile, la determinazione a colpire là dove
emergono le distorsioni di una società intaccata da una irrisolta patina
di nazismo l’hanno messa in luce sulla scena culturale come una
personalità di spicco, mai gratuitamente provocatoria. È appunto questa
graffiante provocazione a toccare, non senza disagio, il lettore che la
avvicini la prima volta nel tramite del romanzo Gli esclusi.
L’opera
nasce alla fine degli anni ’70 come radiodramma e prende spunto da un
fatto di cronaca nella Vienna degli anni ’60, un delitto efferato, che
però, nelle intenzioni della Jelinek non si tramuta in un giallo, ma è
la meta di un percorso analizzato, contestualizzato con precisione nella
realtà piccolo borghese della capitale austriaca, uno scorcio di vita
su cui è arduo fissare lo sguardo; nondimeno l’autrice da lì non toglie
gli occhi e fa in modo che il lettore, facendosi strada nei meandri di
un ambiente torbido, capisca di passo in passo la radice profonda delle
cose.
Quattro ragazzi sui diciott’anni, dei quali due di famiglia
piccolo borghese con il padre dal convinto passato nazista, uno figlio
di operai comunisti e una ragazza della buona borghesia della capitale:
questi i protagonisti, una miscellanea di culture esplosiva, su cui
incidono frustrazioni, aspirazioni e velleità che minano i caratteri dei
quattro. Il quadro è desolante, verrebbe da dire colpevolmente
desolante, sia che alle spalle dei giovani ci sia il marcio di nostalgie
totalitarie, sia che vi si scorga la frustrazione delle speranze in una
società nuova, mentre a dominare la scena è sempre e comunque la
ricchezza alto borghese. Gli accadimenti che si assommano nel romanzo,
tra atti di feroce bullismo e aspirazioni ad una superiore altezza
morale nell’arte (uno dei due fratelli si sente poeta e la sorella
sembra esprimersi solo attraverso la musica), hanno un impatto forte sul
lettore soprattutto per lo struttura che la Jelinek costruisce nel
procedimento narrativo, con un linguaggio che si fa carne del
personaggio narrato, ne traduce pulsioni e repulsioni, accentuando la
fisicità come elemento esposto senza veli e senza reticenze.
La
durezza è una carta che l’autrice gioca con energia, non risparmiando
nulla al lettore, il concetto di omissione e allusione non la interessa e
lo si può capire! Ci sono nella ferocia della sua analisi e del suo
sguardo sulla società austriaca rabbia e disillusione. Viene in mente,
anche per una questione geografica, Thomas Bernhardt. Allo scrittore
austro-olandese non faceva difetto l’arma della scrittura come un
bisturi con cui sezionare il corpo vivo della società senza provarne
alcuna compassione. E in questa determinazione, nella coerenza
stilistica che le dà voce sta la sua grandezza.
La Jelinek è, come
dire? più appassionata e tormentata nell’affondo sugli umori di una
società guardata e giudicata con lucidità, ed ecco allora l’insistenza
sul germe della violenza e della volgarità, sul disagio nascosto come
sporco sotto il tappeto, sulla ripugnanza fisica che alcuni caratteri,
vedi il padre di Anna e Reiner, ispirano, mentre la figura debole e
soccombente della madre non trova la nostra solidarietà. La Vienna che
nel romanzo si delinea è una città opaca, che non ha niente da spartire
con il ritratto convenzionale dell’Austria felix, piuttosto ha in sé le
stigmate del suo periodo più oscuro, da cui la piccola borghesia, vista
dagli occhi di Reiner, è sporcata. E l’idea di sudicio è forse la più
presente sulla scena, che la Jelinek declina con un linguaggio diretto,
eliminando la funzione del narratore per lasciarci sentire le voci dei
protagonisti, il timbro aspro che corre libero e non ha mediazioni.
Leggerla chiede attenzione al ritmo, al gioco di contrasto tra la musica
alta cui aspirare e la sordida orchestrina di voci che accompagna il
gioco al massacro di una generazione.
Gli esclusi
Elfriede Jelinek
traduzione di Nicoletta Giacon,
La nave di Teseo, Milano,
pagg. 314, € 20