lunedì 14 gennaio 2019

Il Sole Domenica 13.1.19
Bianchi contro neri
Quel razzismo nascosto dentro il liberalismo
di Ermanno Bencivenga


Il Critone platonico è uno dei punti più alti del discorso morale dell’Occidente. In esso Socrate, ingiustamente condannato a morte, decide che la condanna faccia il suo corso perché, fra le due opzioni che ha davanti (morire o salvarsi fuggendo), una gli consente di rimanere innocente mentre l’altra, l’evasione, significherebbe violare le leggi e macchiarsi di una colpa. La sua scelta non cessa di suscitare la nostra ammirazione, ma non avrebbe offerto alcun lume alla protagonista dell’Antigone di Sofocle, la quale non ha la possibilità di rimanere innocente: deve scegliere tra violare le leggi della città, che le impongono di lasciare insepolto il fratello Polinice, e le leggi della famiglia e dei morti, che le impongono di seppellirlo. Può fare solo l’una o l’altra cosa, e comunque faccia sbaglia; il suo è un dilemma morale, per cui il nobile comportamento di Socrate non fornisce indicazioni.
La filosofia dovrebbe portare ragionevolezza nella nostra esperienza; l’etica, in particolare, dovrebbe mettere ordine nelle nostre scelte. Ma lo studio di condizioni irreprensibili non ci dà alcuna guida se siamo situati in un mondo fallace e iniquo, che non ci offre nessuna via d’uscita onorevole. Quando Machiavelli aprì il dibattito su questo tema, mal gliene incolse: i suoi libri furono messi all’indice, lui stesso fu giudicato un consigliere diabolico e quanti lo hanno difeso, a tutt’oggi, lo hanno fatto escludendo le sue riflessioni dal campo dell’etica, che lui stava proponendo di rinnovare (with friends like this, who needs enemies?). Ma il tema resta: che fare quando l’innocenza è impossibile, quando siamo in guerra e la morale sembra sospesa, quando ci troviamo a operare in una situazione governata dall’ingiustizia?
Charles Mills, professore di filosofia afroamericano (la precisazione è importante!) alla City University of New York, pone quest’ultima domanda con forza in un libro che non dobbiamo perdere di vista fra le proposte spesso dissennate dell’industria culturale: Black Rights/White Wrongs.
Per circa mezzo secolo, la filosofia morale e politica in ambito anglofono (e non solo) è stata dominata da un testo monumentale: A Theory of Justice (1971) di John Rawls. Questo libro e i molti altri che ne hanno tratto ispirazione disegnano uno Stato ideale, «un’impresa cooperativa tesa al vantaggio comune» e caratterizzata dalla «stretta obbedienza» di ciascuno alle leggi. A chi ha fatto notare a Rawls e ai suoi seguaci che gli Stati reali (la loro «verità effettuale», avrebbe detto Machiavelli) sono tutt’altro, si è risposto che prima bisogna occuparsi di chiarire l’ideale, ciò cui tendere e che permette di valutare tutto il resto, e poi si procederà a questa valutazione e magari a una modifica.
Mills è convinto che si tratti di una manovra per evitare il problema rimandandolo alle calende greche, da parte di una professione (la filosofia accademica americana) che non potrebbe essere più bianca: i neri vi compaiono in una proporzione dell’uno per cento. Gli Stati Uniti sono un Paese razzista, costruito sullo sterminio e sull’espropriazione dei nativi americani e sulla schiavitù degli africani; queste pratiche oscene hanno accumulato nelle mani dei bianchi un patrimonio enorme, che si è perpetuato nei secoli. La ricchezza mediana di una famiglia bianca, nel 2011, era sedici volte quella di una famiglia nera e tredici volte quella di una famiglia latina (erede delle popolazioni aborigene che i bianchi avevano provveduto a eliminare nei loro territori); questa differenza spaventosa incide pesantemente sulle opportunità esistenziali, educative e lavorative dei non-bianchi. Come può una filosofia morale e politica che insiste a descrivere mondi ideali, in cui gli Stati si formano mediante un «contratto» che sancisce l’accordo di persone libere, aiutarci a rimediare un simile orrore?
Mills e altri, impazienti con le anime belle che preferiscono cambiare discorso, dichiarano la necessità di elaborare teorie «non-ideali» che rimangano più vicine alla realtà. Ma la proposta concede troppo alla controparte: un ideale è uno strumento di comprensione e di intervento; in questo caso il punto è, semplicemente, che lo strumento offerto da Rawls è quello sbagliato. Se voglio aprire una bottiglia e tu mi dai un cacciavite, non mi sarà di nessuna utilità; ma ciò non vuol dire che dovrò rivolgermi a un non-attrezzo; vuol dire che avrò bisogno di un cavatappi.
Se opero in uno Stato fondato e retto sullo sfruttamento, un modello di Stato nato e retto dall’accordo dei cittadini e dal loro pacifico rispetto di regole giuste non mi servirà a niente; avrò bisogno di confrontarmi con una procedura ideale per riparare agli abusi passati e correggere gli abusi presenti. La sublime condotta di Socrate non ha nulla da dire ad Antigone, ma l’etica di Machiavelli avrebbe potuto venirle in soccorso; un’etica e un ideale analoghi avrebbero molto da dire agli oppressi che non sanno che farsene dello Stato di Rawls.
Black Rights/White Wrongs: The Critique of Racial
Liberalism
Charles W. Mills
Oxford University Press,
pagg. xxii+281, $29,95