Il Sole Domenica 13.1.19
Bianchi contro neri
Quel razzismo nascosto dentro il liberalismo
di Ermanno Bencivenga
Il
Critone platonico è uno dei punti più alti del discorso morale
dell’Occidente. In esso Socrate, ingiustamente condannato a morte,
decide che la condanna faccia il suo corso perché, fra le due opzioni
che ha davanti (morire o salvarsi fuggendo), una gli consente di
rimanere innocente mentre l’altra, l’evasione, significherebbe violare
le leggi e macchiarsi di una colpa. La sua scelta non cessa di suscitare
la nostra ammirazione, ma non avrebbe offerto alcun lume alla
protagonista dell’Antigone di Sofocle, la quale non ha la possibilità di
rimanere innocente: deve scegliere tra violare le leggi della città,
che le impongono di lasciare insepolto il fratello Polinice, e le leggi
della famiglia e dei morti, che le impongono di seppellirlo. Può fare
solo l’una o l’altra cosa, e comunque faccia sbaglia; il suo è un
dilemma morale, per cui il nobile comportamento di Socrate non fornisce
indicazioni.
La filosofia dovrebbe portare ragionevolezza nella
nostra esperienza; l’etica, in particolare, dovrebbe mettere ordine
nelle nostre scelte. Ma lo studio di condizioni irreprensibili non ci dà
alcuna guida se siamo situati in un mondo fallace e iniquo, che non ci
offre nessuna via d’uscita onorevole. Quando Machiavelli aprì il
dibattito su questo tema, mal gliene incolse: i suoi libri furono messi
all’indice, lui stesso fu giudicato un consigliere diabolico e quanti lo
hanno difeso, a tutt’oggi, lo hanno fatto escludendo le sue riflessioni
dal campo dell’etica, che lui stava proponendo di rinnovare (with
friends like this, who needs enemies?). Ma il tema resta: che fare
quando l’innocenza è impossibile, quando siamo in guerra e la morale
sembra sospesa, quando ci troviamo a operare in una situazione governata
dall’ingiustizia?
Charles Mills, professore di filosofia
afroamericano (la precisazione è importante!) alla City University of
New York, pone quest’ultima domanda con forza in un libro che non
dobbiamo perdere di vista fra le proposte spesso dissennate
dell’industria culturale: Black Rights/White Wrongs.
Per circa
mezzo secolo, la filosofia morale e politica in ambito anglofono (e non
solo) è stata dominata da un testo monumentale: A Theory of Justice
(1971) di John Rawls. Questo libro e i molti altri che ne hanno tratto
ispirazione disegnano uno Stato ideale, «un’impresa cooperativa tesa al
vantaggio comune» e caratterizzata dalla «stretta obbedienza» di
ciascuno alle leggi. A chi ha fatto notare a Rawls e ai suoi seguaci che
gli Stati reali (la loro «verità effettuale», avrebbe detto
Machiavelli) sono tutt’altro, si è risposto che prima bisogna occuparsi
di chiarire l’ideale, ciò cui tendere e che permette di valutare tutto
il resto, e poi si procederà a questa valutazione e magari a una
modifica.
Mills è convinto che si tratti di una manovra per
evitare il problema rimandandolo alle calende greche, da parte di una
professione (la filosofia accademica americana) che non potrebbe essere
più bianca: i neri vi compaiono in una proporzione dell’uno per cento.
Gli Stati Uniti sono un Paese razzista, costruito sullo sterminio e
sull’espropriazione dei nativi americani e sulla schiavitù degli
africani; queste pratiche oscene hanno accumulato nelle mani dei bianchi
un patrimonio enorme, che si è perpetuato nei secoli. La ricchezza
mediana di una famiglia bianca, nel 2011, era sedici volte quella di una
famiglia nera e tredici volte quella di una famiglia latina (erede
delle popolazioni aborigene che i bianchi avevano provveduto a eliminare
nei loro territori); questa differenza spaventosa incide pesantemente
sulle opportunità esistenziali, educative e lavorative dei non-bianchi.
Come può una filosofia morale e politica che insiste a descrivere mondi
ideali, in cui gli Stati si formano mediante un «contratto» che sancisce
l’accordo di persone libere, aiutarci a rimediare un simile orrore?
Mills
e altri, impazienti con le anime belle che preferiscono cambiare
discorso, dichiarano la necessità di elaborare teorie «non-ideali» che
rimangano più vicine alla realtà. Ma la proposta concede troppo alla
controparte: un ideale è uno strumento di comprensione e di intervento;
in questo caso il punto è, semplicemente, che lo strumento offerto da
Rawls è quello sbagliato. Se voglio aprire una bottiglia e tu mi dai un
cacciavite, non mi sarà di nessuna utilità; ma ciò non vuol dire che
dovrò rivolgermi a un non-attrezzo; vuol dire che avrò bisogno di un
cavatappi.
Se opero in uno Stato fondato e retto sullo
sfruttamento, un modello di Stato nato e retto dall’accordo dei
cittadini e dal loro pacifico rispetto di regole giuste non mi servirà a
niente; avrò bisogno di confrontarmi con una procedura ideale per
riparare agli abusi passati e correggere gli abusi presenti. La sublime
condotta di Socrate non ha nulla da dire ad Antigone, ma l’etica di
Machiavelli avrebbe potuto venirle in soccorso; un’etica e un ideale
analoghi avrebbero molto da dire agli oppressi che non sanno che farsene
dello Stato di Rawls.
Black Rights/White Wrongs: The Critique of Racial
Liberalism
Charles W. Mills
Oxford University Press,
pagg. xxii+281, $29,95