Il Sole 20.1.19
L’eterno apparire del destino
Emanuele
Severino. Al centro della sua ultima opera il rapporto dell’uomo con il
divenire del mondo e con la morte, che non accade tra le ombre della
fede, ma nella verità
di Armando Torno
Nella
«Biblioteca filosofica» di Adelphi escono gli scritti teoretici di
Emanuele Severino. Fu lui a inaugurarla nel maggio 1980 con Destino
della necessità. Ecco ora l’ultima sua opera dal titolo Testimoniando il
destino. Severino è considerato in ambito internazionale uno dei
filosofi di riferimento del nostro tempo: si stanno moltiplicando i
riconoscimenti per i suoi scritti. Tra gli ultimi, in Russia Yuri Olynyk
sta preparando la traduzione di Essenza del nichilismo, disponibile da
un paio d’anni anche in inglese.
Testimoniando il destino sviluppa
un gruppo di analisi filosofiche «voltandosi indietro e guardando un
insieme di tratti essenziali del cammino percorso». Che non è stato
breve e «tale cammino ha inteso indicare l’essenza autentica del
fondamento di ciò che con verità può esser saputo in terra e in cielo».
Un «cammino» che mette in questione ogni forma della sapienza dell’uomo e
ora sono approfondite tutte le tematiche affrontate da Severino: per
esempio, il senso ultimo dell’essere uomo, il rapporto tra destino e
scienza, l’essenza linguistica del sapere originario, il senso della
salvezza, la storia infinita dell’uomo ecc.
Il titolo
Testimoniando il destino nasce dal fatto che oggi l’atteggiamento
prevalente è di voltare le spalle alla verità intesa come sapere
incontrovertibile, mentre sin dall’inizio Severino ha mostrano in che
senso «il destino della verità» sia inaggirabile. La parola «destino»è
costruita in modo analogo a episteme, la quale «è il tentativo fallito
di evocare l’incontrovertibile». Entrambe sono basate sulla radice
indoeuropea stha, che indica lo stare. «Il destino riesce là dove
l’episteme ha fallito», nota Severino.
Si tratta di capire che
l’uomo non è soltanto fede, la quale non riesce a «stare», ma è appunto
«sapere che sta». Cita la Prima lettera ai Corinti (13,12), nel testo
della Vulgata, dove Paolo scrive: «Videmus enim nunc per speculum in
aenigmate, tunc autem facie ad faciem», «Ora vediamo come in uno
specchio in enigma, allora vedremo faccia a faccia». Ma «faccia a
faccia» è la situazione paradisiaca, è il modo in cui Paolo esprime il
concetto greco di episteme. In paradiso – chiosa Severino – «l’uomo ha
un sapere incontrovertibile, cioè davanti a Dio non può dire “Forse
questo è Dio”. Si tratta di capire che invece l’uomo è adesso facie ad
faciem rispetto all’essenziale, cioè è oltre la fede espressa dal vedere
attraverso uno specchio in enigma. In questo senso si può dire che già
ora l’uomo è nella situazione paradisiaca, ma senza sapere di esserlo».
Il
linguaggio testimonia non il nostro stato paradisiaco ma quello
decaduto, dove noi viviamo nella fede. Evidenzia: «La fede non è
soltanto fede religiosa, ma è innanzitutto quella di essere al mondo,
che d’altra parte ci fa vivere. Quando noi diciamo: “sono al mondo” non
disponiamo di un sapere incontrovertibile che giustifichi questa nostra
convinzione». Il destino è lo stare oltre la fede, la quale ormai ha
conquistato tutti i campi del sapere e dell’agire umano, perché il
linguaggio parla soltanto di essa e non del destino. Severino aggiunge:
«L’uomo lungi dall’essere l’ombra di un sogno caduco, è l’apparire
stesso del destino; anzi è l’eterno apparire del destino». Un concetto,
questo, che riprende e approfondisce nei suoi scritti da sessant’anni. E
il destino, in tale ottica, è l’apparire dell’impossibilità che ogni
cosa, ogni sfumatura di cose, ogni istante non siano: è l’apparire
dell’eternità di tutto.
Il libro evidenza ciò che in Essenza del
nichilismo era anticipato sulle logiche paraconsistenti. Sostengono che
il principio di non contraddizione può non essere valido in campi
particolari; Severino mostra che quella tesi, desiderosa di essere
incontraddittoria, è invece contradditoria. Di questo ha discusso con il
britannico Graham Priest (il quale ammette accanto ai valori di «solo
vero» e «solo falso» anche quello di «vero e falso»): lo ha fatto al
convegno «I sessant’anni della “Struttura originaria”».
Severino
ha chiuso quest’opera con numerose postille e la nota introduttiva in
data 7 novembre - giorno in cui è nata sua moglie Esterina – e confessa:
«Le aggiunte ho continuato a scriverle per mesi». Caso insolito: il suo
lavoro è un blocco, il tema è unico. Lui stesso ammette: “Ripenso a
questo tema, e continuo a presentare aspetti nuovi che vengono fuori
quando non si cercano; sono loro che vengono a trovarti”.
Testimoniando
il destino dimostra dunque che il rapporto dell’uomo con il divenire
del mondo, e innanzitutto con la morte, non avviene semplicemente
all’interno delle ombre della fede, ma «all’interno della chiarità e
incontrovertibilità del destino della verità».
Il 2 marzo sarà
festeggiato il suo 90° compleanno (26 febbraio) al Teatro Sociale di
Brescia (promosso dal Ctb) con la partecipazione di Ruth Shammah e di
attori e attrici: vi sarà una lettura di passi dell’Orestea di Eschilo
da lui tradotta. Ritorna un successo di oltre trent’anni fa che andò in
scena al teatro Pier Lombardo di Milano.
Dal 13 al 15 giugno,
invece, si terrà un convegno internazionale a Brescia: «Heidegger nel
pensiero di Severino». Lo aprirà Friedrich-Wilhelm von Herrmann, ultimo
assistente del filosofo tedesco, noto in Italia anche per il libro
scritto con Francesco Alfieri Martin Heidegger: la verità sui Quaderni
neri (Morcelliana). Il tutto è organizzato da un’équipe guidata da Ines
Testoni e Tullio Goggi.
Testimoniando il destino
Emanuele Severino
Adelphi, Milano, pp. 404, € 34