il manifesto 9.1.19
Un capolavoro di menzogne sulla pelle dei curdi
di Alberto Negri
Duellanti
e bugiardi. Turchia e Stati Uniti sono da molto tempo alleati
riluttanti, sull’orlo di una crisi di nervi perenne anche quando si
tratta di raccontare menzogne che farebbero comodo a entrambi.
Erdogan
aveva promesso al segretario di Stato Mike Pompeo e al consigliere per
la sicurezza nazionale John Bolton di proteggere curdi, dopo averli per
altro massacrati a puntino nel cantone siriano di Afrin. Un’intenzione
«santificata» anche da un ambiguo editoriale del presidente turco sul
New York Times. Ma le bugie hanno le gambe corte. Erdogan, ignorando le
condizioni poste dagli Usa e dal consigliere Bolton, ieri in visita ad
Ankara, ha smentito tutto e tutti tornando a minacciare un’offensiva per
cacciare l’Ypg dal nord della Siria e ribadendo di essere pronto a un
eventuale attacco. Non solo: ha tenuto fuori dalla porta anche Bolton
trattandolo come uno zerbino.
Le bugie, anche quelle effimere, a
Trump sono necessarie per uscire dal pantano mediorientale. Come era già
avvenuto nei giorni scorsi con la missione di Bolton in Israele: la
dilazione del ritiro Usa dalla Siria è in funzione più anti-Iran che
filo-curda, con l’obiettivo di garantire a Israele l’occupazione, in
corso dal 1967, di un pezzo di Siria, il Golan, e delle terre arabe in
generale. Il resto viene dopo, molto dopo. Altro che America First,
Israele viene prima di tutto e Trump, dopo avere trasferito l’ambasciata
Usa a Gerusalemme, si avvinghia al premier Netanyahu impegnato in
campagna elettorale.
I curdi in realtà di protezione ne avrebbero
pure bisogno visto che continuano a morire nella battaglie contro l’Isis
come alleati degli americani: oltre 30 miliziani curdi sarebbero stati
uccisi in una controffensiva dei jihadisti nella zona di Abukamal. Non
solo la guerra di Siria non è finita ma continua su vari fronti. Il
movimento jihadista Hayat Tahrir Al Sham ha conquistato posizioni già
tenute da guerriglieri filo-turchi a ovest di Aleppo fino al confine con
la Turchia. La fazione, che sul piano formale si è distanziata da Al
Qaida, vuole diventare un interlocutore di primo piano nel caso di
trattative.
I due bugiardi, Erdogan e Trump, in realtà continuano a
ricattarsi a vicenda. La Turchia, in cambio di un allentamento della
pressione sul Rojava curdo, ha chiesto agli Stati Uniti di consegnare
all’esercito turco 16 delle 22 basi americane in Siria per non lasciarle
ai curdi. Gli Usa per il momento hanno risposto negativamente mentre
Bashar Assad guarda con interesse a questo duello tra alleati della Nato
che un giorno, per raggiungere i loro obiettivi, potrebbero anche
rivolgersi a Damasco, alleato storico di Teheran, per recitare il ruolo
di terzo incomodo (per altro a casa sua). Sarebbe una sorta di nemesi
dopo che per anni hanno detto che doveva andarsene.
La Russia di
Putin osserva come entrare in gioco favorendo di volta in volta i
siriani, i turchi e i curdi: la guerra di Siria non solo ha riportato
Mosca nel cuore del Medio Oriente ma la stessa Turchia, storico membro
dell’Alleanza Atlantica è diventata ormai una sorta di Jugoslavia alla
Tito, una Paese non allineato che oscilla Est e Ovest, proponendosi come
potenza egemone pur essendo uscita sconfitta dalla battaglia per
abbattere il regime alauita di Assad.
Lo dimostra la vicenda dei
missili. La Turchia ha acquistato i sistemi russi di difesa missilistica
S-400 e gli Usa hanno chiesto ad Ankara di comprare i loro Patriot, che
si aggiungono a quelli della joint venture franco-italiana Eurosam.
Una
situazione imbarazzante e paradossale: in pratica con i missili russi
il sistema tecnico di identificazione «amico-nemico» è diretto contro
Washington e la Nato, con i Patriot Usa è puntato contro Mosca. Ankara
teoricamente terrebbe sotto tiro entrambi. In primavera in Turchia, che
partecipa al consorzio industriale, dovrebbero essere schierati i nuovi
F-35 e i russi – temono gli americani – potrebbero studiare le
contromisure dirette al caccia americano della categoria Stealth.
Altro che aereo invisibile: Erdogan può rovinare gli investimenti militari americani.
Di
visibile e concreto c’è che Trump ha fatto una mossa sconsiderata
annunciando il ritiro dalla Siria e che ora non sa come uscire dal
groviglio in cui è cacciato, costretto a negoziare non con i nemici ma
con i suoi stessi alleati o presunti tali. Un capolavoro.