mercoledì 9 gennaio 2019

il manifesto 9.1.19
Gaza, si riaccende lo scontro Fatah-Hamas
Palestina. Hamas arresta circa 200 militanti e dirigenti di Fatah. Abu Mazen ritira i suoi uomini dal valico di Rafah e innesca la chiusura del terminal da parte dell'Egitto. Nello scontro tra le due forze rivali a pagare sono solo i civili palestinesi
di Michele Giorgio


L’irresponsabilità di Hamas e Fatah spinge di nuovo Gaza verso il baratro. I circa 200 fermi, arresti e interrogatori di militanti e dirigenti di Fatah eseguiti dalla polizia del movimento islamico nei giorni scorsi in occasione dell’anniversario della fondazione del partito guidato dal presidente palestinese Abu Mazen, sono stati seguiti dalla decisione del governo dell’Autorità nazionale palestinese (Anp) – composta ai suoi livelli più alti in prevalenza da dirigenti di Fatah – di ritirare i suoi agenti dal terminal di frontiera di Rafah, l’unica porta di Gaza sul mondo arabo. Un passo al quale l’Egitto ha reagito chiudendo il valico sul lato palestinese. Gli abitanti di Gaza potranno tornare a casa ma non entrare in territorio egiziano. Per migliaia di civili è un disastro, soprattutto per gli ammalati gravi che solo in Egitto o volando dal Cairo verso altri Stati possono ricevere le cure di cui hanno bisogno.
Il ritiro da Rafah delle guardie di frontiera dell’Anp ha creato un effetto domino. Hamas ha annunciato di aver ripreso il controllo del valico di Rafah – che aveva restituito al controllo dell’Anp nell’autunno del 2017 -, poi la chiusura in uscita del terminal decisa dal Cairo, quindi è entrato in scena Israele, che da 12 anni attua un rigido blocco di Gaza, con lo stop all’ingresso nella Striscia di 15 milioni di dollari offerti dal Qatar. Un colpo durissimo che significa l’interruzione del pagamento dei salari arretrati per decine di migliaia di dipendenti pubblici. Doha, con Ankara alleata del movimento islamico palestinese, due mesi fa ha garantito il versamento di una cifra mensile di 15 milioni di dollari nel contesto degli sforzi dell’Egitto e dell’Onu di ridurre il rischio di un confronto armato fra Hamas ed Israele. Fondi che, nelle intenzioni qatariote, servono anche a ridurre le tensioni lungo le linee tra Gaza e Israele, dove dallo scorso 30 marzo, ogni venerdì, si riversano migliaia di palestinesi per protestare contro il blocco israeliano. Manifestazioni che hanno visto oltre 200 palestinesi cadere uccisi sotto il fuoco dei tiratori scelti israeliani schierati lungo le barriere. Hamas in cambio di un allentamento del blocco e dei fondi messi a disposizione dal Qatar in queste ultime settimane si è mosso per contenere le proteste. Complice anche la pressione dell’Egitto che con la sua mediazione è riuscito ad evitare, almeno sino ad oggi, un’offensiva militare israeliana contro Gaza.
Il disastro interno palestinese non si ferma qui. Se gli islamisti arrestano i rivali di Fatah a Gaza, i servizi di sicurezza dell’Anp fanno altrettanto con i militanti di Hamas in Cisgiordania, spesso in collaborazione con l’intelligence di Israele. Abu Mazen da parte sua non esita a colpire, con tagli dei finanziamenti diretti a Gaza, la popolazione civile. L’ultimo esempio è proprio il ritiro delle guardie di frontiera da Rafah che non danneggia Hamas ma i tanti che aspettavano, spesso da mesi, di poter entrare in Egitto. Il presidente dell’Anp ha mandato un segnale ad Egitto e Qatar che, in apparente coordinamento con Israele, provano a trasformare Gaza in una entità separata dal resto dei territori palestinesi. Rivelazioni attribuite di recente dalla stampa araba all’ex ministro della difesa israeliano Lieberman, vorrebbero il piano Usa per il Medio oriente – non ancora presentato – finalizzato, tra le altre cose, a fare della minuscola Gaza il futuro Stato di Palestina, una prigione a cielo aperto per oltre due milioni di civili e un contenitore ben sigillato di militanti e dirigenti di Hamas.