il manifesto 9.1.19
López Obrador ha un piano per il Centroamerica. E se gli Usa non ci stanno c’è la Cina
«Zona
di prosperità». Il nuovo presidente messicano sfida la Casa bianca e il
muro anti migranti di Trump con un progetto di sviluppo economico per
la regione. Che Pechino ha già inserito nella «nuova via della seta»
Panama,
3 dicembre 2018. Il presidente cinese Xi Jinping e quello panamense
Juan Carlos Varela, con rispettive first lady, di fronte all'enorme nave
porta container Chinese Cosco Shipping Rose
di Roberto Livi
Il
presidente Andrés Manuel López Obrador ha un piano per affrontare
l’intransigenza di Donald Trump, deciso a imporre la costruzione di un
muro alla frontiera Usa-Messico.
Andrés Manuel López Obrador
Da
una parte ha rifiutato lo schema proposto dalla Casa bianca, ovvero
accettare per il Messico la condizione di «terzo paese sicuro», che lo
costringerebbe a ospitare decine di migliaia di migranti centroamericani
mentre le corti statunitensi decidono la loro sorte: significherebbe
istituire campi di rifugiati in Messico.
DALL’ALTRA HA PROPOSTO un
piano per assicurare uno sviluppo economico nel cosidetto «triangolo
del Nord del Centroamerica» (Honduras, El Salvador e Guatemala) per
affrontare le cause economiche e la violenza strutturale del capitalismo
che spingono decine di migliaia di persone di quest’area a emigrare
verso Nord. È una sorta di piano Marshall che coinvolge anche gli stati
del sud del Messico si basa su quattro assi: emigrazione, commercio,
sviluppo economico e sicurezza, per un costo di 30 miliardi di dollari,
in modo da creare quella che il ministro degli Esteri messicano Marcelo
Ebrard ha definito «una zona di prosperità».
SECONDO ALTI
FUNZIONARI messicani – che si sono espressi in varie interviste – se non
fosse possibile persuadere Trump a partecipare a un progetto che di
fatto è il contrario di quanto minaccia di fare, López Obrador sarebbe
pronto a far capire che esiste un altro poderoso attore disposto a
riempire il vuoto: la Cina.
Il gigante asiatico sta guadagnando
terreno e influenza nella regione centramericana, che intende includere
nella «nuova via della seta». Attualmente Pechino è il secondo o terzo
socio commerciale dei paesi dell’area: imprese cinesi realizzano opere
di infrastruttura in Honduras, Nicaragua, Costa Rica e Panama e sono già
stati formulati piani di investimento in Salvador e Guatemala per un
totale che supera i 2 miliardi di dollari, senza contare il progetto del
canale intraoceanico del Nicaragua – dal futuro incerto – che prevede
una spesa di 50 miliardi di dollari.
La Cina già ha firmato un
Trattato di libero commercio con il Costa Rica ed è in avanzate
trattative con Panama. Entrambi gli stati centroamericani hanno scelto
strategicamente Pechino, rompendo le relazioni con Taiwan. Nel primo,
l’impresa cinese China Harbour Engineering Company (Chec), è incaricata
di ampliare la principal estrada che unisce la capitale, San José, con
il Golfo del Messico, mentre sono avanzati i progetti per creare una
Zona Económica Especial (Zee) dove verranno fabbricati prodotti cinesi.
MA
È A PANAMA che la penetrazione cinese è più massiccia. Nell’aprile
dell’anno scorso è stata inaugurata una linea aerea diretta tra la
capitale e Pechino. La Chec ha già iniziato la costruzione di un porto
per imbarcazioni di crociera e un altro per container nella Zona franca
di Colón con un investimento programmato di oltre un miliardo di
dollari, mentre il gigante cinese in telecomunicazioni Huawei ha
installato, sempre a Colón, il sesto centro di distribuzione mondiale
dei suoi prodotti.
Imprese cinesi competono per ottenere i
contratti di un un nuovo ponte sul canale di Panama e per la costruzione
di una linea ferroviaria tra la capitale e la frontiera del Costa Rica.
I legami tra la Cina e le «famiglie» che contano a Panama, compresa
quella del presidente Juan Carlos Varela, hanno permesso alle compagnie
cinesi una posizione di vantaggio rispetto ai concorrenti. Non solo, il
governo panamense progetta l’emissione di buoni sul mercato cinese – già
definiti «Buoni panda» – per un valore di 500 milioni di dollari.
LA
CINA secondo vari analisti è interessata a una forte presenza in
un’area geografica che assicura un facile accesso ai due oceani,
Pacifico e Atlantico. «Questo concede un enorme potenziale di sviluppo
economico», afferma Enrique Dussel Peters, coordinatore del Centro de
Estudios China México dell’Universidad Nacional Autónoma de México. Ma
soprattutto Pechino «dimostra al mondo, principalmente agli Usa, di
essere un competitore globale. È come se dicesse a Washington: siamo
qui, nel vostro giardino di casa, dunque dobbiamo trattare da pari».
È
una situazione che fa vedere rosso la Casa bianca. A metà dello scorso
ottobre il segretario di stato Mike Pompeo ha fatto una visita lampo a
Panama per avvertire il presidente Varela, in puro stile neocoloniale,
di «tenere gli occhi bene aperti nelle relazioni con la Cina» per via
delle «attività economiche predatrici» attuate da Pechino.
«UN
MESSAGGIO FORTE E CHIARO», secondo l’ex ministro degli Esteri panamense
José Raúl Mulino, affinché Panama faccia marcia indietro. Ma è la stessa
«politica isolazionista e minacciosa nei confronti dei paesi
centramericani» che induce i governi della regione a cercare un
contrappeso agli Usa, afferma Rafael Fernández de Castro, analista
dell’Università della California.