il manifesto 8.1.19
Rosa Luxemburg, per cambiare il mondo bisogna insorgere
Un’antologia
di scritti dal 1898 al 1918, «Socialismo, democrazia, rivoluzione» per
Editori Riuniti con un saggio di Guido Liguori
di Lelio La Porta
Il
15 gennaio ricorrerà il centesimo anniversario dell’assassinio di Rosa
Luxemburg e Karl Liebknecht, da parte dei Freikorps del
socialdemocratico Gustav Noske. Molto opportunamente, quindi, viene
proposta al pubblico italiano, in specie, come sottolineato
nell’Avvertenza, quello «segnatamente studentesco e comunque giovanile»,
un’antologia di scritti della rivoluzionaria polacca (Rosa Luxemburg,
Socialismo, democrazia, rivoluzione. Antologia 1898-1918, con un saggio
di Guido Liguori intitolato Il pensiero politico di Rosa Luxemburg. Una
introduzione, Editori Riuniti, pp. 307, euro 19,50). Una delle
caratteristiche da sempre e da più parti riconosciute del pensiero
luxemburghiano è lo spontaneismo (per esempio da Hannah Arendt che
soprattutto, sottolineando l’identità di genere e di origine, ma certo
non di militanza politica, fra lei e la rivoluzionaria polacca, metteva
in evidenza come lo spontaneismo luxemburghiano fosse il contributo
decisivo fornito alla teoria politica nell’ottica dell’individuazione
delle fonti dell’agire politico), il rifiuto del settarismo,
dell’autorità indiscussa dei leader, delle decisioni imposte dall’alto.
Liguori,
leggendo lo scritto del 1906 intitolato Sciopero di massa, partito e
sindacati mette in discussione o, se si preferisce, ridimensiona lo
spontaneismo di Luxemburg facendo notare come le singole agitazioni di
massa non possano essere decise «a tavolino» ma debbano essere
consapevolmente indirizzate dal partito, nel caso specifico quello
socialdemocratico (quanto Gramsci c’è in questa osservazione di Liguori,
quanta dialettica fra spontaneismo e direzione consapevole tipica del
Gramsci dei Quaderni del carcere?). E, a proposito di dialettica,
Liguori legge nella Luxemburg la «rivendicazione della dialettica», del
nesso Hegel – Marx che ne caratterizza la posizione sia all’interno del
marxismo del suo tempo sia all’interno del marxismo della
socialdemocrazia tedesca in alternativa, in questo secondo caso, al
revisionismo sia di Bernstein sia di Kautsky.
Liguori, peraltro,
muove anche degli appunti a Luxemburg, soprattutto in relazione
all’astrattismo di alcune sue posizioni. Intorno al rapporto
crisi-rivoluzione, nell’Introduzione, si fa un esplicito riferimento a
Gramsci, sia quello precarcerario, sia quello del carcere, in cui la
questione è vista in un’ottica di filosofia della praxis, o se si
preferisce, leninianamente, «di analisi concreta della situazione
concreta», che consente al comunista sardo di collocarsi in una
posizione critica rispetto alla rivoluzionaria polacca.
Da questo
punto di vista si può fare riferimento al discorso che Luxemburg tenne
il 31 dicembre del 1918, che, pur non comparendo nell’antologia viene
citato nell’Introduzione, al Congresso di fondazione del Kpd (Partito
comunista tedesco); in quella sede si espresse nel modo seguente: «noi
oggi viviamo nel più preciso significato della parola verità che appunto
Marx ed Engels per la prima volta hanno enunciato come base scientifica
del socialismo in quel documento grandioso che è il Manifesto
comunista: il socialismo diventerà una necessità storica». E poco più
avanti: «Il socialismo è diventato una necessità perché il proletariato
non vuol più vivere nelle condizioni di vita che gli fanno le classi
capitalistiche». Quasi a dispetto della dialettica, Luxemburg, come
noterà Gramsci nelle note carcerarie, mostra una forma di «misticismo
storico», come se il socialismo dovesse cadere dal cielo
fatalisticamente, e sembra quasi ritenere che l’epoca della Rivoluzione
debba protrarsi sine die con scarsa considerazione dei fatti. Si doveva
passare, invece, dalla guerra manovrata a quella di posizione. Ciò,
ovviamente, come sottolinea lo stesso Liguori, nulla toglie al ruolo
ricoperto da Rosa Luxemburg nella «causa di riscatto delle classi
subalterne» fino al sacrificio estremo. E che se ne possa parlare in
concordia discors – ossia nella prospettiva comparativistica – con
Gramsci, è auspicabile.