il manifesto 8.1.19
Sessanta anni vissuti pericolosamente
Tutte
le date della rivoluzione. Il giorno prima della tentata invasione
mercenaria organizzata dalla Cia di Playa Girón del 16 aprile 1961,
Fidel Castro annuncia: «La rivoluzione cubana è una rivoluzione
socialista». 26 luglio ’53, attacco alla Moncada, dicembre ’56, sbarco
del Granma, poi la guerriglia nella Sierra. Fino alla crisi dei missili
dell’ottobre ’62 e al ’bloqueo’ economico degli Usa
di Aldo Garzia
Cristoforo
Colombo arriva a Cuba nel 1492. L’isola diventa indipendente dalla
Spagna nel 1898, seppure sotto il protettorato degli Stati uniti. Nel
1961 la rivoluzione guidata da Fidel Castro del 1959 si dichiara
«socialista», Washington replica dichiarando l’embargo economico che
dura tuttora. Si tratta di tre date fondamentali nella storia cubana che
subisce una svolta nel 1952, quando il generale Fulgencio Batista
prende il potere nella notte del 10 marzo con un golpe.
Nel 1953,
anno del centenario della nascita di José Martí, figura simbolo della
lotta per l’indipendenza, si avvia il primo focolaio rivoluzionario
contro Batista. Il 26 luglio un gruppo di giovani raccoltosi intorno
all’avvocato Fidel Castro, proveniente dalle file del Partito ortodosso,
dà l’assalto al quartiere militare Moncada di Santiago. Nella caserma
si spara per un’ora. Dei 160 assaltanti, 70 vengono uccisi, 32 saranno
processati, una quarantina riesce a tornare in incognito a L’Avana. Alla
fine, Fidel e i dispersi sono arrestati. Castro prepara da solo la sua
autodifesa in tribunale che diventa famosa con il titolo La storia mi
assolverà.
Il 1 novembre 1954, Batista è eletto presidente di
Cuba. Castro e i suoi compagni, grazie all’amnistia che segue le
elezioni presidenziali, vengono liberati il 15 maggio 1955. I dirigenti
del Movimento 26 luglio si stabiliscono in Messico. Al gruppo originario
di nazionalità cubana si aggiungono Ernesto Guevara, giovane medico
argentino, Gino Donè, un italiano che aveva combattuto nella resistenza
antifascista, e il dominicano Ramón Mejía del Castillo. Castro acquista
da una coppia di statunitensi lo yacht Granma per preparare il ritorno a
Cuba (in teoria può trasportare solo 20 persone, finisce per imbarcarne
82).
A Santiago il Movimento 26 luglio si dà l’obiettivo di
organizzare l’insurrezione il 30 novembre 1956, in contemporanea con il
previsto arrivo del Granma. Però lo yacht sbaglia rotta, incontra mal
tempo e arriva sulle coste dell’isola solo il 2 dicembre e molto
distante dal luogo stabilito. I militanti del Movimento 26 luglio sono
sorpresi dalle truppe di Batista nella località di Alegría de Pío. Sono
arrivati a Cuba in 82, ma i sopravvissuti dello scontro a fuoco con
l’esercito sono solo 12. Tra i superstiti, c’è anche l’italiano Doné,
che però non riesce a ricongiungersi con Castro.
Sulle montagne
della Sierra Maestra il manipolo guidato da Castro si riorganizza in
cerca della rivincita che arriva alla fine del 1958, dopo due anni di
guerriglia supportata dalla rete clandestina dei movimenti rivoluzionari
nelle città. La guerriglia, dopo qualche tentennamento politico dovuto
ai dissensi sui metodi di lotta, conquista l’appoggio del Partito
socialista popolare che nel corso del 1957 aveva scartato l’ipotesi
della lotta armata.
Anche il Direttorio rivoluzionario s’incorpora
nella guerriglia. Dal 1952 al 1959 l’Avana si era trasformata nella
capitale della prostituzione e del gioco d’azzardo per le scorribande
dei cittadini statunitensi e di capi mafia come Lucky Luciano.
Tra
il 2 e il 3 gennaio del 1959 i barbudos (chiamati così per le lunghe
barbe che si erano fatti crescere sulla Sierra Maestra) fanno il loro
ingresso a L’Avana. Prima arriva la colonna guidata da Ernesto Che
Guevara, poi quella di Camilo Cienfuegos. Il dittatore Batista, nella
notte di Capodanno, riesce a fuggire all’estero. Castro giunge nella
capitale l’8 gennaio, dopo aver attraversato l’isola e tenuto un primo
discorso programmatico sulla piazza centrale di Santiago.
Castro è
nominato primo ministro il 16 febbraio del 1959. «È solo ora che inizia
la rivoluzione», avverte. Un mese dopo, prima ancora che vengano
affrontati temi economici e sociali, si istituisce con un’apposita legge
l’Istituto per l’arte e l’industria cinematografica (Icaic). Ad aprile
Castro viaggia negli Stati Uniti, dove è ricevuto con diffidenza da
alcuni dirigenti del Dipartimento di Stato. A maggio, si vara la riforma
agraria che abolisce i latifondi e ridistribuisce la terra espropriando
le proprietà americane. Il 17 luglio, Castro si dimette per le
resistenze che incontra la nuova riforma agraria. Poi va in televisione
dove punta l’indice contro il presidente Manuel Urrutia, accusato di
bloccare l’azione del governo.
Nel 1960 i primi obiettivi del
nuovo governo di Castro sono la «campagna di alfabetizzazione» per
estirpare l’analfabetismo dall’isola e la riforma urbana per ridurre gli
affitti, ridistribuire il patrimonio edilizio e calmierare il prezzo
dell’elettricità. Tra febbraio e luglio 1961, si stringono i primi
rapporti commerciali con Mosca e Pechino. Ad agosto, Cuba viene espulsa
dall’Organizzazione degli Stati americani (Osa). Castro, a settembre,
torna a New York dove nell’Assemblea delle Nazioni Unite condanna la
politica neocoloniale degli Stati Uniti. La politica delle
nazionalizzazioni prosegue. Diventano di proprietà dello Stato cubano
molte industrie statunitensi.
Fidel Castro parla al popolo cubano armato il giorno prima dell’invasione della Baia dei Porci
Fidel Castro parla al popolo cubano armato il giorno prima dell’invasione della Baia dei Porci
Nel
1961, il giorno prima della tentata invasione mercenaria di Playa Girón
del 16 aprile (sconfitta in quarantott’ore), finanziata dagli Stati
uniti alla cui presidenza c’è John Fitzgerald Kennedy, Fidel Castro fa
un annuncio: «La rivoluzione cubana è una rivoluzione socialista. Gli
Stati uniti non ci perdonano di averla fatta a pochi chilometri dal loro
impero». La dichiarazione politica arriva a conclusione dei funerali
delle vittime di un raid aereo contro gli aeroporti di L’Avana e
Santiago. Da quel momento in poi si stringono ancora di più i rapporti
con l’Urss e i paesi socialisti dell’Est. Gli Stati Uniti avviano il
blocco economico contro l’isola che entra ufficialmente in vigore nel
1962. L’isola si proclama «territorio libero d’America».
Nell’ottobre
1962 si svolge la «crisi dei missili», o «crisi di ottobre».
Washington, dopo aver decretato il blocco navale di Cuba, minaccia
l’intervento armato contro l’isola, se i sovietici non sospendono
l’installazione di missili nucleari sul territorio cubano. Nikita
Krusciov, leader di Mosca, accetta il diktat. Il mondo assiste con il
fiato sospeso al corso degli eventi. Nel 1965 si forma il Partito
comunista cubano, all’interno del quale confluiscono i movimenti che
avevano partecipato alla fase iniziale della rivoluzione. Il Che, che
aveva ricoperto l’incarico di ministro dell’industria, non compare in
quel congresso. Castro legge la lettera con cui Guevara annuncia di aver
scelto di abbandonare Cuba per altre iniziative rivoluzionarie.
Nel
1967 in Bolivia è assassinato Ernesto Che Guevara che aveva guidato il
tentativo guerrigliero d’insurrezione in quel paese con l’obiettivo di
aprire nuovi fronti rivoluzionari in America latina per far uscire Cuba
dall’isolamento e dalla dipendenza da Mosca. Dopo il suo assassinio, la
rivoluzione cubana ripiega nelle sue frontiere e rinsalda i rapporti con
i paesi del «socialismo reale». Fino a quel momento, L’Avana aveva
tentato di proporsi come terzo polo della politica mondiale in
riferimento ai movimenti di liberazione del Terzo mondo. Dopo che Castro
appoggia inaspettatamente l’invasione sovietica della Cecoslovacchia
nel 1968, nel 1970 fallisce la campagna per la raccolta di 10 milioni di
tonnellate di canna da zucchero che avrebbe dovuto far decollare
l’economia cubana. I rapporti economici tra Mosca e L’Avana diventano
ancora più stringenti (il primo viaggio di Fidel in Urss è del 1963). In
America latina, intanto, vengono stroncati uno dopo l’altro tutti i
movimenti di guerriglia e pure il governo democratico di Salvador
Allende in Cile.
Il 1989 è un’altra data storica per Cuba. La
caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione dei paesi del «socialismo
reale» provocano la solitudine dell’isola nello scacchiere mondiale.
Negli anni Novanta e Duemila, Cuba cerca di reinserirsi nella nuova
realtà internazionale senza rinunciare alla peculiarità della sua
storia. Gli Stati uniti, prima con la Legge Torricelli (1992) e poi con
la Legge Helms-Burton (1995), stringono ancora di più il cappio del
blocco economico. L’assemblea delle Nazioni Unite condanna ripetutamente
la politica di Washington. Le risoluzioni non hanno tuttavia effetti
pratici. Il viaggio di Barack Obama a L’Avana nel 2016 fa ben sperare,
la presidenza di Donald Trump riporta invece indietro l’orologio.
Cuba
nel frattempo è ancora lì che resiste, dopo sessant’anni dal 1959 e
dopo trent’anni dall’eclissi del «socialismo reale». La sua storia
recente assomiglia a un cruciverba, con molte pagine gloriose e altre
grigie o discutibili.