il manifesto 6.1.19
Una metafora costruttivista del socialismo realizzato
Storia
russa. Un gigantesco studio dello storico russo-americano Yuri Slezkine
dedicato alla «La Casa del Governo», l’edificio di Boris Iofan avviato
nel 1927 per protagonisti del nuovo apparato sovietico, e della cultura:
da Feltrinelli
di Stefano Garzonio
Nel 1931 fu
portata a termine a Mosca, sul lungofiume, nell’area insulare della
Palude, la Casa del Comitato esecutivo centrale e del Consiglio dei
commissari del popolo (Casa del Governo), una grandiosa opera avviata
nel 1927 e affidata al celebre architetto costruttivista Boris Iofan.
Dotata di 505 appartamenti, un cinema, un teatro, una banca, un asilo,
la posta, biblioteche, sale sportive, un negozio interno, un campo da
tennis, la Casa del Governo fu destinata ad abitazione per dirigenti e
quadri del nuovo apparato sovietico, nonché per personaggi di rilievo
dell’arte, della scienza e della vita pubblica della società.
Tra i
molti membri dell’élite sovietica che la abitarono, i figli di Stalin, i
capi bolscevichi Nikolaj Bucharin e Aleksej Rykov, Pavel Postyšev, il
biochimico Boris Zbarskij, direttore del laboratorio del Mausoleo di
Lenin, il poeta Dem’jan Bednyj, il critico Aleksandr Voronskij, l’eroe
del lavoro Aleksej Stachanov. Insieme a loro, molti collaboratori dei
servizi, che svolsero un ruolo decisivo negli anni del Terrore (per
esempio il figlio di Jakov Sverdlov, Andrej). A questo complesso
architettonico, che nel 1935 contava 2655 inquilini, dedicò il celebre
romanzo La casa sul lungofiume lo scrittore sovietico Jurij Trifonov,
che in quella casa visse in quanto figlio di un alto dirigente
bolscevico. Nel 1989 all’interno della Casa fu aperto un museo che
testimonia della storia dell’istituzione e della biografia dei suoi
tanti inquilini.
Un gigantesco studio dello storico
russo-americano Yuri Slezkine, uscito negli Stati Uniti nel 2017, ora
pubblicato da Feltrinelli, La Casa del Governo Una storia russa di
utopia e terrore (traduzione di Bruno Amato, pp. 1211, euro 39,00)
descrive l’edificio di Boris Iofan, e i suoi inquilini. Fondato sulle
loro numerose testimonianze memorialistiche, ma anche su una sterminata
bibliografia relativa alla storia russa e al movimento rivoluzionario,
lo studio di Slezkine si sviluppa anche in una prospettiva più
articolata, di natura comparatistica, che tende a evidenziare gli
aspetti culturali, filosofico-religiosi, psicologici, comportamentali
del fenomeno rivoluzionario iscrivendoli nell’ampio quadro della storia
dell’umanità. Metafora dell’intera patria del socialismo, la Casa
acquista così un inquietante valore simbolico e la lettura che l’opera
propone della storia russa si colora di riferimenti millenaristici, in
una prospettiva escatologica.
La prima sezione del libro è
dedicata agli anni che precedono la costruzione della Casa, all’attesa
del «vero giorno», la realizzazione della «profezia bolscevica» e da lì
al compimento della rivoluzione. Si passa poi alla costruzione della
«casa eterna», l’avvio del piano quinquennale, visto come lo strumento
per la realizzazione del nuovo mondo, fino al «secondo avvento». La
nuova vita nella Casa è descritta come un processo di realizzazione
degli uomini nuovi, il compiersi del «regno dei santi», il magico mondo
dell’infanzia felice. In una prospettiva apocalittica, si ferma poi
sull’assassinio di Kirov (nel 1934) sulle epurazioni, e i grandi
processi degli anni del Terrore, nella ricerca affannosa del capro
espiatorio. Accanto alla vita quotidiana dei carnefici, la sofferenza
delle vedove e dei figli dei condannati e, con l’arrivo della guerra, la
fine, «l’aldilà». Su questo scheletro mitopoietico, si avvolgono tre
filoni, quello di una saga familiare dei tanti inquilini della Casa,
quello analitico della storia del bolscevismo come «setta
millenaristica», e quello propriamente letterario, legato al processo di
costruzione della nuova società, che la Casa del governo doveva
rappresentare.
Si può non concordare con il complesso progetto
interpretativo proposto da Slezkine o, meglio, ci si può limitare a
leggerlo come un grande affresco narrativo fatto di singole linee
tematiche e di una grande mole di materiali memorialistici e di
archivio. Accanto alle vicende più note – per esempio quella di Nikolaj
Bucharin, della sua carriera politica e del suo declino fino al processo
e alla fucilazione, ricostruite utilizzando le memorie della seconda
moglie Anna Larina, e riportando le lettere del rivoluzionario a Stalin,
o di altri dirigenti bolscevichi – Slezkine offre una prospettiva della
vita sovietica che risale agli anni della rivoluzione e si conclude con
il crollo dell’impero comunista.
Già i titoli dei singoli
capitoli sono eloquenti definizioni delle diverse fasi della vita nella
Casa: L’ammissione di colpa, Bussano alla porta, La fine dell’infanzia,
La persistenza della felicità: capitolo, questo, di grande forza, per i
toni e le atmosfere evocate nel descrivere il destino dei giovani figli e
nipoti dei condannati. Le tante voci che partecipano a questo testo
polifonico (per esempio quella del giovane Trifonov e dell’ amico Lëva
Fedotov, dei ragazzi e delle donne le cui memorie contribuiscono a
ricostruire un’esperienza storica che rivela ancora inesplorati tragici
aspetti) tendono a confluire nel racconto di una vera e propria saga
familiare, alla quale partecipano direttamente anche alcuni scrittori
(da Serafimovich a Kaverin) e altri rappresentanti della vita culturale
dell’epoca (è il caso della nota regista Natalija Sats, che aveva
lavorato anche all’estero con Otto Klemperer).
Non è estranea a
questa saga la forza narrativa della grande tradizione letteraria russa,
da Tolstoj a Grossman e, in particolare, al Solženicyn del Primo
cerchio. Di grande utilità, la Lista parziale degli inquilini, nella
quale si riportano i dati biografici di una buona parte dei protagonisti
del volume, mentre la bibliografia ragionata che lo chiude gli
conferisce il valore di una enciclopedia, con l’aggiunta di tanti
materiali iconografici inediti che ne sottolineano il valore
documentario. «Questa è un’opera storica – avverte l’autore. Ogni
riferimento a personaggi di fantasia – vivi o morti – è puramente
casuale».