il manifesto 6.1.19
Presidenti contro, dalla Toscana parte il ricorso alla Consulta
La
critica della Regione. All’iniziativa di Rossi pensano Calabria,
Piemonte e Umbria Cresce l’imbarazzo fra i 5 stelle. Ma anche nel Pd si
aprono crepe
di Daniela Preziosi
Il presidente
della Toscana Enrico Rossi fa un passo avanti rispetto alla
«disobbedienza» dei sindaci al decreto sicurezza e annuncia la
formalizzazione del ricorso alla Corte costituzionale. Del resto le
regioni hanno una marcia più veloce verso la Consulta: possono ricorrere
direttamente, senza il passaggio dal giudice ordinario, dove deve
essere sollevata la questione di legittimità di un provvedimento.
SE
LA VIA POLITICA alla modifica del decreto è sbarrata – il presidente
Conte ha invitato a Palazzo Chigi i sindaci dell’Anci ma il ministro
Salvini ha fatto sapere che «il decreto non si tocca» – anche la via
giudiziaria non sembra facile. Altre regioni, fra quelle governate dal
centrosinistra, esprimono solidarietà alla causa ma grande cautela sul
piano legale. Sergio Chiamparino (Pd), presidente del Piemonte, spiega:
«Stiamo valutando. Se ci sono le condizioni giuridiche, non perderemo
tempo». Valuta anche l’umbra Catiuscia Marini (Pd), che comunque
garantisce cure e all’assistenza sanitaria per tutti. E Mario Oliverio,
presidente della Calabria (Pd): «Avevo già espresso tutte le mie
perplessità al decreto sicurezza. Oggi gli atti di disobbedienza
annunciati e praticati da diversi sindaci italiani confermano le mie
preoccupazioni ed hanno il mio pieno sostegno». Oliverio del resto è
stato fra i primi a schierarsi al fianco di Mimmo Lucano, il sindaco di
Riace oggi sotto inchiesta, precursore della disobbedienza civile contro
le politiche che rendono impraticabile l’integrazione dei migranti e
dei richiedenti asilo. Già dai tempi dei governi a guida Pd.
PROPRIO
UNA FOTO con Lucano appare nel profilo facebook di Nicola Zingaretti,
candidato alle primarie del Pd: «Al fianco dei sindaci che non si
arrendono e che ogni giorno lavorano per cambiare il loro territorio,
nonostante Salvini, nonostante Di Maio. Come Mimmo Lucano, come tanti
altri amministratori», è il post. Dagli uffici della sua regione però
trapela cautela sul ricorso. «La nostra amministrazione ha scelto da
tempo da quale parte stare», spiega il vice Massimiliano Smeriglio,
«Penso all’intervento per le reti di inclusione sociale dei migranti
transitanti» e «ai 600mila euro per l’integrazione dei migranti
vulnerabili che il decreto sicurezza mette in mezzo alla strada».
IL
CAPOFILA DEI SINDACI «disobbedienti» Leoluca Orlando ringrazia:
l’intenzione delle regioni – sempreché diventi un atto concreto – «è
importante politicamente perché chiarisce ancora una volta che l’Italia
non è un paese da ‘pensiero unico’ e perché formalmente permetterà di
avviare il percorso verso l’annullamento di norme inumane che
contrastano con la Costituzione».
UN PRIMO RISULTATO POLITICO c’è
già. È l’imbarazzo dei 5 stelle. In parlamento il decreto ha portato
allo scoperto i numeri del dissenso interno (5 senatori e 18 deputati,
poi quasi tutti riallineati, due fin qui le espulsioni). Ma il fenomeno
si allarga se si guarda ai comuni. Le sindache Raggi e Appendino
perplesse, anche silenti; il sindaco di Livorno Nogarin in aperto
contrasto con le norme salviniane; una trama di consiglieri e
amministratori locali apertamente contrari.
VA MEGLIO AL PD, ma
non del tutto. Roberto Giachetti, candidato ’renziano’ alle primarie,
sta con i sindaci: «Il loro movimento si aggiunge alle tante voci che
sostengono l’incostituzionalità del decreto sicurezza. Sarà molto utile
se contribuirà a farlo arrivare alla Corte». Ma nel Pd l’argomento n è
scivoloso. Su Huffington Post Stefano Esposito, che naturalmente
solidarizza con i sindaci, apre una riflessione interna: «Nonostante
molti a sinistra abbiano contestato il decreto Minniti, oggi appare
ancora più chiaro, di fronte alle politiche salviniane, quanto quelle
critiche fossero sbagliate e poco connesse alla reale percezione di una
grande maggioranza dei cittadini». Invece nel Pd c’è chi, come il
candidato Martina, propone un referendum per abrogare il decreto. Idea
che va fortissimo in rete.
IL GUAIO È CHE è va molto meno forte
nel Pd. Persino fra i simpatizzanti dello stesso Martina. Per esempio il
presidente della Campania De Luca, quello che ha consegnato un giovane
nigeriano alla polizia perché chiedeva spiccioli fuori da un
supermercato di Salerno. De Luca ammette – come tutti – le ragioni dei
comuni contro il decreto Salvini. Ma poi non resiste e lamenta: «Ancora
una volta la sinistra italiana si pone sul piano di chi vuole accogliere
tutti in maniera indiscriminata».