il manifesto 6.1.19
«Reddito di cittadinanza», superate le norme Ue. Di Maio «Andrà solo agli italiani»
Il
caso. Lo ha detto il vicepresidente del consiglio Luigi Di Maio. In
realtà la nuova bozza di decreto legge su «quota 100», «reddito di
cittadinanza» e «pensione di cittadinanza» include i comunitari, esclude
gli stranieri non residenti da 10 anni. Possibili ricorsi alla corte
costituzionale e a quella di giustizia europea. 4,3 milioni di persone è
la platea potenziale del nuovo sistema di «workfare» italiano che
prefigura un sistema di lavoro gratuito e di emigrazione interna coatta
per i "poveri assoluti"
di Roberto Ciccarelli
Nei
ventisette articoli che compongono la nuova bozza del decreto legge
sulle misure bandiera del Movimento Cinque Stelle e della Lega, il
cosiddetto «reddito di cittadinanza» e le pensioni «quota 100» che il
governo si appresta a varare tra martedì e giovedì prossimi, non ci
saranno 62 mila nuclei familiari extra-comunitari residenti in Italia,
ma non da dieci anni in maniera continuativa. Il peso politico della
Lega nella coalizione gialloverde ha costretto i Cinque Stelle ad
escluderli esponendo così il governo Conte a ricorsi alla corte
costituzionale e a quella europea di giustizia. Un altro modo per
stabilire un’altra esclusione nella società, dopo avere chiuso i confini
all’esterno. È la stessa visione politica che ispira il «Dl Salvini»
contro i rifugiati. «È stato concepito per i cittadini italiani. Per
farlo abbiamo spostato il “lungo soggiorno” a oltre 10 anni e bypassiamo
le normative europee che dicono di darlo a tutti» ha confermato ieri
Luigi Di Maio.
SU UN TOTALE DI 5 MILIONI di «poveri assoluti», dai
4,3 potenziali beneficiari (di cui 198 mila nuclei familiari con più di
5 figli e 387 mila single) non sono stati al momento esclusi 259 mila
nuclei di cittadini comunitari che risiedono in Italia da più di dieci
anni. Insieme agli italiani potranno accedere a un sistema di lavoro e
emigrazione interna coatta – chiamato impropriamente «reddito di
cittadinanza» – che obbligherà a lavorare otto ore gratis a settimana
per lo Stato; fare formazione obbligatoria per 18 mesi (rinnovabili dopo
un mese di pausa); accettare un’offerta di lavoro su tre da parte dei
centri per l’impiego, entro 100 km dalla città di residenza se si è
disoccupati da 6 mesi, entro 250 km se lo si è da più di 6, 500 e oltre
se lo si è da oltre un anno. Per com’è stato scritto il decreto, anche i
cittadini italiani di ritorno dopo qualche anno di residenza all’estero
potrebbero risultare penalizzatinell’accesso a un sistema per molti
aspetti vessatorio. In caso di povertà, non potranno dimostrare di avere
vissuto 10 anni consecutivi in Italia. Su questo punto ha polemizzato
ancora Forza Italia. Per i berlusconiani «prima gli italiani» significa
escludere tutti coloro che non hanno la nazionalità, indipendentemente
dalla residenza. In ogni caso, nel rispetto dello stesso principio,
politicamente sensibile per i «populisti», i Cinque Stelle hanno già
ceduto alla Lega aumentando da 5 a 10 anni il periodo minimo di
residenza per ottenere il sussidio.
IL «REDDITO DI SUDDITANZA»,
come lo ha ridefinito Marco Bascetta su Il Manifesto, consiste in un
sussidio pari alla differenza tra un massimale di 780 mensili e il
reddito Isee inferiore ai 9.360 euro annui in cambio della cessione
della loro autonomia già ridotta. L’importo non potrà superare seimila
euro l’anno per un single che non ha alcun reddito; sarà incrementato a
9.360 se si è in affitto. Il beneficio è considerato un’integrazione del
reddito fino a questa cifra. I prelievi di contanti da una carta
elettronica non potranno superare i 100 euro al mese.
NEL CALCOLO
per determinare l’importo nettamente inferiore rispetto al massimale di
780 euro rientrerà il valore della prima casa. Si potrà essere
intestatari di una seconda con un valore catastale non superiore ai 30
mila euro. Sarà contemplato il «patrimonio mobiliare» non superiore a 6
mila euro, accresciuto di 2 mila euro per ogni componente il nucleo
familiare, fino a un massimo di 10 mila. Potrà incrementato di mille
euro per ogni figlio successivo al secondo.
NESSUN COMPONENTE
della famiglia dovrà essere intestatario di un’auto, acquistata sei mesi
prima della richiesta, superiore a 1.600 c.c.; motoveicoli di
cilindrata superiore a 250 c.c., immatricolati nei due anni prima. A chi
darà false notizie sulla condizione patrimoniale, o continuerà a
lavorare in nero (due milioni per la Cgia a rischio), sono state
promesse pene da «uno a sei anni». Di Maio ha detto che alla Guardia di
finanza è stato dato il potere di accedere alla banca dati dell’agenzia
delle entrate sulle transazioni per prevenire. Le sanzioni arriveranno
anche nel caso in cui un membro della famiglia svolga attività di lavoro
irregolare. Chi è maggiorenne deve dichiararsi disponibile al lavoro.
In caso di mancata presentazione alle convocazioni dei centri per
l’impiego (ampiamente riformati, con risorse fino a 1 miliardo) sono
previste sanzioni fino alla decadenza per tutta la famiglia. Il sussidio
può essere richiesto dopo 18 mesi. Tutta la famiglia sarà così
sorvegliata.
A PARTE L’IMPROBABILE realizzabilità entro il primo
aprile 2019 dell’imponente sistema di incrocio tra domanda e offerta
prefigurato nel decreto è confermato che il sussidio non è un «reddito
di cittadinanza», ma uno sgravio contributivo alle imprese pari alla
differenza fra 18 mensilità e quello già goduto. Andrà alle aziende che
assumeranno a tempo pieno e indeterminato, senza licenziare per 24 mesi.
Dopo, eventualmente, lo si potrà fare con le regole del Jobs Act.
L’incentivo non andrà alle imprese che hanno violato norme previdenziali
o sulla sicurezza del lavoro.
L’INSIEME DEI VINCOLI contenuti nel
decreto esplicitano il sospetto del legislatore sulla natura deviante
di chi si trova in povertà. In questo sistema di «workfare» il «povero»
deve dimostrare di «meritare» l’accesso ai diritti sociali attraverso il
lavoro gratuito, i colloqui psicoattitudinali, le prove di selezione, i
corsi di formazione o di riqualificazione professionale». Si vuole così
trasformare la condizione di «povertà» in una di «occupabilità». La
povertà non sarà cancellata, come auspicato avventurosamente in questi
mesi. Saranno i poveri ad essere messi temporaneamente sul mercato per
dimostrare l’aumento delle statistiche sull’occupazione.
***
Pensioni
“quota 100”: Per il triennio 2019 in via sperimentale si potrà andare
in pensione anticipata con 62 anni di età e almeno 38 di contributi. Lo
si legge nella bozza di decreto su Reddito di cittadinanza e Quota 100
nel quale si precisa che il requisito è «successivamente» adeguato agli
incrementi della speranza di vita. La pensione con la cosiddetta Quota
100 non è cumulabile fino al raggiungimento del requisito di vecchiaia
con i redditi da lavoro dipendente o autonomo a meno che non sia
autonomo occasionale entro i 5 mila euro annui. È prevista una
decorrenza di tre mesi per i lavoratori privati e di sei mesi per i
pubblici. La prima finestra per i privati è aprile 2019 mentre la prima
per i pubblici è luglio 2019. È previsto un preavviso per i pubblici
alle amministrazioni di almeno sei mesi.
I dipendenti pubblici
che lasciano con Quota 100 potranno chiedere alle banche l’anticipo del
loro trattamento di fine servizio. Stiamo valutando insieme all’Abi la
stipula di una convenzione» sostiene Claudio Durigon, sottosegretario al
Lavoro
In arrivo la riforma di Inps e Inail. Per Inail e Inps
finisce l’era della guida monocratica con il ritorno a Cda con 5
componenti «ivi compreso il Presidente». È una delle indicazioni
contenute nella bozza di decreto legge su reddito cittadinanza e quota
100. Una modifica prevista, si sottolinea nell’articolo 24, «senza
comportare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica». Per
affrontare le esigenze legate alle nuove misure assumendo nuovo
personale, inoltre, all’articolo 26 si autorizza per l’Inps una spesa di
50 milioni di euro.