il manifesto 4.1.19
Bolsonaro, guerra lampo contro i «nemici»
Brasile.
In due giorni ridotto il salario minimo, eliminato il ministero della
cultura, gli indigeni nelle mani della potente lobby dell’agribusiness
di Claudia Fanti
In
Brasile, c’è chi l’ha definita come la «guerra lampo» di Bolsonaro. E
in effetti, nei primi due giorni del suo governo, sono stati sferrati
attacchi decisivi contro i «nemici della patria, dell’ordine e della
libertà» evocati nel suo discorso al Congresso. Chi siano questi nemici
lo ha chiarito subito, riducendo, qualche ora dopo il grottesco show del
suo insediamento, il valore del salario minimo già approvato dal
Congresso nazionale da 1006 a 998 reais e, di seguito, prendendo di mira
le fasce più povere e vulnerabili.
UN COLPO MORTALE è stato
inferto ai popoli indigeni, mandati direttamente in pasto ai leoni. Con
un provvedimento provvisorio relativo alla riorganizzazione dei
ministeri, Bolsonaro ha infatti sottratto alla Funai, la Fondazione
nazionale per gli indigeni, la responsabilità dell’identificazione e
della demarcazione delle aree indigene, affidandola al Ministero
dell’Agricoltura e, dunque, di fatto, alla potente lobby
dell’agribusiness.
Sarà allora la ministra Tereza Cristina, la
«musa dei pesticidi» già a capo della bancada ruralista al Congresso, a
occuparsi – è superfluo dire in che modo – delle terre indigene e
quilombolas, assumendo inoltre il comando del Servizio forestale
brasiliano responsabile della gestione delle riserve naturali e delle
foreste. Un requiem per i popoli originari e afrodiscententi e per
l’ambiente.
«CHE L’ATTACCO SIA INIZIATO con i popoli indigeni ha
una valenza simbolica», ha commentato la sociologa e leader indigena
Avelin Buniaca, del popolo Kambiwá, «poiché noi siamo tutto ciò che loro
non vogliono per il nostro paese».
Un attacco, peraltro,
ampiamente previsto, considerando le dichiarazioni rilasciate da
Bolsonaro non solo in campagna elettorale – «Nemmeno un centimetro
quadrato in più agli indios» – ma anche pochi giorni prima
dell’inaugurazione del suo mandato, quando l’ex capitano ha preso di
mira nientedimeno che la madre di tutte le demarcazioni, quella
dell’area indigena Raposa Serra do Sol (omologata nel 2005 dal
presidente Lula dopo una lotta di oltre trent’anni), auspicando un suo
«sfruttamento razionale». Non è stato risparmiato, nel provvedimento
provvisorio, neppure il Ministero del Lavoro, le cui funzioni sono state
suddivise tra quello della Giustizia e della Pubblica Sicurezza – come
se il lavoro fosse una questione di polizia – e quelli dell’Economia e
della Cittadinanza, mentre è stato semplicemente eliminato quello della
Cultura, verso cui il nuovo regime rivela un’evidente allergia.
Né
si è salvato il Consiglio nazionale di sicurezza alimentare e
nutrizionale, impegnato nella difesa di un’alimentazione sana, non
industrializzata e libera da veleni chimici, del resto chiaramente
incompatibile con la politica agricola della «musa dei pesticidi». Con
il Ministero dei Diritti umani accorpato a quello della Donna e della
Famiglia sotto la guida della pastora evangelica Damares Alves (la
stessa che ha detto di aver visto Gesù ai piedi di un albero di goiaba),
la popolazione Lgbt è scomparsa per incanto dalle politiche di
promozione dei diritti umani, in «un paese che uccide più Lgbt al
mondo», come ha ricordato la leader del PCdoB Manuela D’Avila.
E
LO STESSO DESTINO, all’interno del Ministero dell’Educazione, è stato
riservato alla Segreteria dell’educazione continua,
dell’alfabetizzazione, della diversità e dell’inclusione, con cui
scompaiono dall’agenda scolastica i temi dei diritti umani,
dell’educazione interculturale e del concetto stesso di diversità. Ad
annunciarlo è stato il ministro Ricardo Vélez Rodriguez, paladino dei
«valori tradizionali della società», indicato espressamente da Olavo de
Carvalho, guru de Bolsonaro, nella sua personale crociata contro il
«sacerdozio delle tenebre»: marxismo, psicoanalisi, esistenzialismo,
teologia della liberazione, relativismo morale, culturale ed etico.
«Formare cittadini per il mercato del lavoro – ha commentato Bolsonaro
su Twitter -: la prospettiva opposta a quella dei governi precedenti, i
quali miravano consapevolmente alla formazione di menti schiave delle
idee di dominazione socialista».
E MENTRE IL NUOVO PRESIDENTE ha
ammesso di essere arrivato alla presidenza con l’aiuto del comandante
dell’esercito, il generale Eduardo Villas Bôas non senza un’inquietante
allusione a un accordo segreto tra i due («Generale, ciò di cui abbiamo
parlato resterà tra noi»), il regime neofascista ora al potere dà il via
alla sua caccia alle streghe, a cominciare dai lavoratori precari della
pubblica amministrazione sospettati di essere del Pt: come ha rivelato
su O Globo l’editorialista Ascânio Seleme, chiunque abbia postato sulle
reti sociali qualcosa che abbia a che vedere con «Ele não», «Fora Temer»
e persino “Marielle vive” rischierà il posto.