il manifesto 30.1.19
Rems, criminale è la nostalgia del manicomio
di Francesco Maisto
Quando
qualche autorevole magistrato di sorveglianza evoca un manicomio
giudiziario come Castiglione delle Stiviere «all’avanguardia per quanto
riguarda trattamenti e terapie…un errore non coltivare
quell’esperienza», nel presente clima culturale e politico di
reistituzionalizzazione e ricarcerizzazione, bisogna proprio allarmarsi.
Così
facendo si dimenticano i tanti trattamenti inumani, degradanti,
violenti, osceni, strutturali ed illegali connaturati ai manicomi
giudiziari, rimasti in larga parte “latrine” (secondo la qualificazione
di Lombroso), come reso evidente dall’Indagine della Commissione
parlamentare Marino sulle condizioni degli Opg.
La vecchia
dottrina penalistica ed alienistica classificava gli autori di reato in
rei-folli (i rei divenuti successivamente folli) e in folli-rei ( i
soggetti già folli che commettevano reati), tutti destinati alla
discarica del manicomio giudiziario – poi ingentilito con l’ossimoro
ospedale psichiatrico giudiziario- in cui gli internati erano marchiati
da presunzioni giuridiche assolute di pericolosità sociale rivedibili a
scadenze fisse, cancellate, dopo un lungo lavorio dalla Corte
Costituzionale, dalla Legge Gozzini ed infine, dalla legge 81 del 2014.
E’
vero che questa legge ha sancito la chiusura degli Opg, ma al contempo,
ha previsto un termine per le misure di sicurezza detentive (prima
indeterminate); ha espunto l’handicap sociale dai criteri di valutazione
della pericolosità sociale; ha reso obbligatori i programmi terapeutici
individualizzati e, solo in via subordinata, ha previsto l’istituzione
di piccole strutture terapeutiche denominate Rems (Residenze per la
esecuzione delle misure di sicurezza detentive psichiatriche), come uno
degli esiti del proscioglimento per infermità o seminfermità mentale con
ritenuta attualità della pericolosità sociale. Le Rems come strutture
sanitarie e non penitenziarie, come strutture e non istituzioni totali,
come strutture sicure non chiuse, strutture di gestione
dell’aggressività e della fragilità, e non di contenzione e di
trattamenti sanitari obbligatori, strutture temporanee. E dunque, non le
Rems al posto degli Opg, secondo la diversa narrazione del Capo del Dap
e di magistrati che aderiscono alle correnti psichiatriche
istituzionalizzanti.
E’ vero che attualmente alcune centinaia di
soggetti con patologie psichiatriche, ritenuti pericolosi, sono in lista
di attesa per una assegnazione alle Rems oppure illegalmente trattenuti
nelle patrie galere, ma ciò non è certamente imputabile a carenze della
legge, né all’insensibilità di tutte le Regioni.
Tante sono le
omissioni che continuano a minare la completa e puntuale attuazione del
trattamento penale degli infermi di mente. Le proposte degli Stati
Generali non sono state recepite da questo Governo. In particolare, la
mancata abrogazione dell’art. 148 del codice penale e la riduzione della
possibilità di ricorrere a misure alternative, ha impedito la creazione
di un sistema unitario con la possibilità di un adeguato trattamento in
carcere. L’interlocuzione tra il sistema di giustizia penale ed il
sistema dei servizi psichiatrici, auspicata dal Consiglio Superiore
della Magistratura con due Risoluzioni precise e stringenti, non vede
attivo un livello nazionale, ma è lasciata alle singole Regioni (sono
stati prodotti protocolli solo in Emilia, Lazio, e a Brescia). Le prassi
del Dap non sono cambiate rispetto a quelle praticate con la vecchia
normativa. Non è stata attivata la Conferenza nazionale sulla salute
mentale e l’Accordo Stato-Regioni del 26 febbraio 2015 non è stato
ancora rivisto.
Non stupisce, dunque, se, in un clima politico
“repressivo” e regressivo, riprenda vigore l’ipotesi di soluzioni
istituzionalizzanti piuttosto che la scelta di un sistema incentrato
sulla comunità.