Corriere 30.1.19
La mamma di Giuseppe
«L’ho messo sul divano e ho atteso i soccorsi»
Napoli, la donna parla del bambino ucciso dal patrigno
La chiamata alla madre: «Vengo da te senza i bambini»
di Fulvio Bufi
Quattro mesi fa L’incontro al mercato tra Valentina e Tony e la scelta di andare a vivere a Cardito
Massa
Lubrense (Napoli) Come se si fosse chiusa una parentesi. Si era aperta
questa estate, un giorno che Valentina andò a fare un giro al mercato. E
si è chiusa domenica sera. Quando Giuseppe era già morto, quando Noemi
era già in ospedale e ancora non si capiva se quel codice rosso con il
quale era arrivata indicasse un imminente pericolo di vita, o fosse
invece — come per fortuna è stato — solo una precauzione. E quando
l’altra bimba, quella di quattro anni soltanto, era già stata accolta
dai servizi sociali e di lì a poco sarebbe stata accompagnata in una
struttura protetta.
La parentesi era quella vita a Cardito insieme
a Badre Tony Essobti, il venticinquenne che ha ucciso Giuseppe e
massacrato Noemi, e Valentina la stava chiudendo con una telefonata alla
mamma Anna, che vive a Massa Lubrense, in costiera sorrentina, per
dirle: «Sto tornando. Soltanto io, i bambini no».
Adesso casa sua è
di nuovo quella dove era cresciuta e dove era già tornata con i tre
figli quando era finita la storia con Fabrizio, il padre di Noemi,
Giuseppe e della piccolina.
A Massa Lubrense la conoscono tutti,
ma nessuno l’ha riaccolta con calore, e nemmeno con solidarietà. Si
avverte, diffusa, una sensazione di quella «colpevolizzazione al
femminile» di cui ha parlato, proprio in relazione alla tragedia di
Cardito, la psicologa Ester Ricciardelli in una intervista rilasciata
all’agenzia Dire.
La percezione è evidente, e se la
colpevolizzazione sia giustificata o no è, appunto, materia per
psicologi. Alla cronaca tocca solo registrare le voci. Anche quella di
Valentina quando riferisce, stavolta non al magistrato, quel che è
successo domenica a Cardito. È didascalica. L’assassino lo chiama sempre
e solo con il suo nome, non aggiunge appellativi, non dice nemmeno che
«sembrava indemoniato», come invece aveva riferito l’altro giorno agli
inquirenti. Anche l’emozione nel ripercorrere i momenti di quella
tragedia non la lascia scorgere: se la prova, e certamente la proverà,
la tiene per sé.
Di Giuseppe steso a terra sanguinante e immobile,
dice: «L’ho preso e l’ho messo sul divano, poi sono rimasta ad
aspettare i soccorsi». Non li ha chiamati lei, lo ha fatto la madre di
Essobti, dalla sua casa in un altro paese della zona, quando è stata
avvertita dal figlio del disastro che aveva fatto.
E poi? Poi
l’ambulanza, i medici che tentavano inutilmente di rianimare Giuseppe,
l’arrivo della polizia, gli agenti che le dicono di seguirla in
commissariato e le due ore passate lì a parlare con i funzionari e poi
con il magistrato. C’è tutto nel racconto di Valentina, una esposizione
piatta di ogni momento di quella domenica pomeriggio. Fino alla fine:
«Quando mi hanno detto che me ne potevo andare me ne sono andata e sono
venuta qui a Massa».
E così si è chiusa la parentesi. Era andata
via a settembre, trasformando in pochi giorni l’incontro con quel
venditore ambulante, di sei anni più giovane di lei, conosciuto una
mattina tra le bancarelle, in una scelta di vita condivisa. Anche se i
bambini non erano contenti, anche se Noemi e Giuseppe a nonna Anna
ripetevano «facci restare qui, vogliamo rimanere con te, non vogliamo
cambiare casa». Invece hanno cambiato casa, hanno cambiato scuola, hanno
cambiato amici, hanno cambiato vita. Per quattro mesi. Poi è finito
tutto.