il manifesto 29.1.19
La maledetta domenica
Irlanda del Nord.
In centinaia alla «Bloody sunday march» per ricordare il massacro del
1972 a Derry: «Le scuse di David Cameron non bastano». In città il clima
è teso, il ritorno del confine irreale
Dimitri Bettoni
DERRY
Centinaia di persone si sono raccolte anche quest’anno nel quartiere di
Creggan a Derry, Irlanda del Nord. Da qui il 30 gennaio 1972 partì una
grande manifestazione in risposta agli arresti di massa della polizia
inglese. Il clima si stava surriscaldando e la stagione che poi sarebbe
stata ribattezzata Troubles, ossia il Conflitto, era appena cominciata.
«Al
tempo erano finite in carcere già decine e decine di persone, internate
nei campi di prigionia senza che le autorità dovessero giustificare il
fermo o stabilire un termine alla detenzione» racconta Shane, uno dei
partecipanti alla marcia, in attesa che questa prenda il via.
A
quella gente scesa in strada il governo britannico oppose un reggimento
di paracadutisti, fatti rientrare dall’estero dopo aver combattuto in
paesi come Yemen e Angola. Il risultato di quella giornata furono 13
morti più un’ulteriore vittima deceduta il giorno dopo, e altrettanti
feriti.
EAMONN MCCANN, giornalista, scrittore e noto attivista
politico che ha dedicato molto del suo lavoro a quegli eventi, fu
testimone diretto: «I colpi d’arma da fuoco cominciarono all’improvviso.
All’inizio ero incredulo, perché stavano sparando? C’erano già state
centinaia di manifestazioni, lanci di pietre, manganellate, ma quel che
stava accadendo non aveva precedenti. Nella testa delle persone nacque
la determinazione di portare la lotta alle estreme conseguenze».
La
più immediata delle conseguenze fu l’abbandono da parte di molti
giovani della via pacifica e l’adesione alla lotta armata. Tante persone
cominciarono a mostrare scetticismo nei confronti di proteste in strada
per i diritti civili sapendo che in cambio avrebbero ricevuto piombo.
La Provisional Ira, formazione paramilitare che ancora non poteva
contare su ingenti forze, ebbe un’ondata di adesioni senza precedenti.
Furono
aperte due commissioni d’inchiesta. La prima fu l’inchiesta Widgery,
partita a pochi mesi dal massacro, che sposò la linea di difesa dei
militari e li assolse, ma anni dopo fu riconosciuta come falsata. La
seconda, l’inchiesta Saville del 1998, giunse invece alla conclusione
che i militari britannici avevano agito senza controllo, sparando su
civili inermi, e avevano poi tentato di depistare le indagini. In quello
stesso anno l’allora primo ministro David Cameron presentò per la prima
volta scuse ufficiali: «Quel che accadde durante la Domenica di Sangue
fu ingiustificato e ingiustificabile».
Alcuni tra i familiari
delle vittime pensano non sia sufficiente e dal 2011 sono riuniti nel
Bloody Sunday March Committee, organizzazione che mira a portare in
tribunale gli ufficiali militari allora al comando. Kate Nash è tra i
fondatori: «Le scuse non bastano per aver preso la vita di qualcuno. I
paracadutisti sono un’unità militare altamente specializzata, che
risponde ad una catena gerarchica. L’inchiesta Saville assegna la colpa a
nove soldati semplici, ma gli ufficiali sono ancor più colpevoli di chi
ha premuto il grilletto».
Altri tra i parenti delle vittime
sentono invece il bisogno di voltare pagina. Come John, che allora perse
uno zio e oggi vive non lontano da Bishop Road, dove il 19 gennaio
scorso un’autobomba è stata fatta esplodere davanti ad un tribunale.
«Per tanti anni la marcia è stato un appuntamento imprescindibile per la
mia famiglia. Poi il governo britannico ha riconosciuto le proprie
colpe e quella è stata la nostra vittoria politica. Per me è
sufficiente, ora voglio andare avanti».
LA TENSIONE è però tornata
a crescere nuovamente da un paio di anni, come racconta Stephen,
anch’egli presente alla marcia: «Sono aumentati i fermi, i controlli, le
perquisizioni della polizia. Alcune frange repubblicane dissidenti
hanno rialzato la testa nella convinzione che, se riuscissero a
provocare il pugno duro delle autorità britanniche, otterrebbero un
nuovo moto di solidarietà dal basso». È tra queste frange che sembrano
condurre le indagini della Psni, la polizia locale, che hanno indicato
nella Nuova New Ira il più probabile dei responsabili dell’autobomba.
LA
MARCIA termina a Bogside, il quartiere di Derry dove i militari
spararono sulla folla, oggi come allora cuore urbano dei movimenti di
rivendicazione dei diritti. All’ex numero 33 di Lecky road campeggia il
famosissimo motto scritto per la prima volta nel lontano 1969 da Liam
Hillen, che più tardi raccontò: «È stato un modo per dire a tutti “Ora
stai entrando a Derry, amico, e qui non sei tu che comandi”».
Vecchie
divisioni e ferite che faticano a rimarginarsi, mentre nel
chiacchiericcio di sottofondo nei pub di Derry, tra il suono di tamburi e
violini, si rumoreggia di Brexit e dello spauracchio del ritorno di un
confine tra le due Irlande a cui, in verità, nessuno crede, che nessuno
desidera, ma che inevitabilmente aleggia.