il manifesto 29.1.19
Cédric Herrou: «Un popolo degno lotta per le persone»
Cinema
. Intervista all’agricoltore francese che ha aiutato centinaia di
migranti sulla frontiera con l’Italia. «Bisogna chiedere agli italiani e
a Salvini se sono pronti ad accettare i morti, le torture e gli
annegati pur di non far arrivare i migranti nel Paese». La sua storia è
raccontata in «Libero» di Michel Toesca, dal 31 gennaio al cinema
di Silvia Nugara
Dopo
l’anteprima internazionale a Cannes e un passaggio al Biografilm fest
di Bologna, esce nelle sale italiane il 31 gennaio il documentario
Libero di Michel Toesca (distr. I Wonder Pictures). Il film è ambientato
in valle Roja, tra la Francia e l’Italia, dove vive Cédric Herrou,
l’agricoltore solidale che a lungo ha accolto i migranti nella sua terra
fornendo loro vitto, alloggio, assistenza legale e passaggi in auto.
Toesca traccia un ritratto di Herrou e della sua opera senza eccessi di
retorica né di personalismo, lasciando la parola anche ad alcuni
migranti e restituendo la pluralità di presenze che compongono la rete
con cui collabora il coltivatore. La sua figura resta tuttavia simbolica
per la capacità che ha avuto di prendersi carico della sofferenza di
molti e di puntare il dito contro le contraddizioni di un potere che si
dichiara favorevole al diritto d’asilo ma non lo rispetta e criminalizza
la solidarietà. Il film è stato girato tra il 2015 e la fine del 2017,
periodo durante il quale Herrou è stato fermato e processato diverse
volte. Da allora, ma questo nel film non si vede, la Corte
costituzionale francese ha giudicato incostituzionale il «reato di
solidarietà» e sollevato Herrou dalle accuse in nome del principio di
fraternità. Il titolo del documentario di Toesca, Libero si riferisce
dunque a Herrou, personaggio che, come auspicava Voltaire, «coltiva il
suo giardino» prendendosi cura delle vite umane e vegetali che lo
abitano. Per lui, la libertà è vivere con poco, condividere ciò che si
ha e lottare per la giustizia. Libero è anche il film stesso, realizzato
in modo indipendente da Toesca grazie al sostegno del crowdfunding, di
Médecins du Monde ed Emmaüs che lo hanno sciolto dai vincoli che avrebbe
posto una produzione cinematografica ufficiale. Il titolo originale,
però, Libre, ricorda anche il nome di una frazione nei pressi di
Breil-sur-Roja che un tempo, prima che quella mobile frontiera si
spostasse a seguito del rattachement nel 1947, portava il nome italiano
di Libri. Anche questo dimostra quanto siano labili e arbitrari quei
confini che con tanta ferocia ci si ostina ancora a proteggere. Il film è
a lieto fine, perché il suo protagonista torna alle sue terre, ma la
realtà attuale non lo è affatto soprattutto per chi ancora cerca
accoglienza in Europa.
Come avete lavorato con Michel Toesca?
Michel
è venuto a trovarmi tre anni fa, ci conoscevamo da una decina di anni,
ma trascorrendo molto tempo insieme abbiamo legato e la presenza della
videocamera mi ha anche aiutato a prendere coscienza delle mie azioni, a
mettere un po’ di distanza dalle cose che stavo vivendo. A differenza
di tanti altri giornalisti, quella di Michel è stata una camera amica,
alleata, e mi ha aiutato molto anche il rivedere le riprese e
partecipare un po’ al montaggio del film, ripercorrendo tutto quello che
avevamo passato. Ho capito come il cinema può servire a far riflettere
chi lo vede ma anche chi lo fa sul dolore, su questioni molto serie.
Le è mai stata rimproverata la mediatizzazione del suo caso?
C’è
un Herrou contadino e uno mediatico che, con i membri dell’associazione
di solidali cui appartengo, chiamiamo in terza persona. «Lui» è il
portavoce di una causa, non sono io come persona, e il film vuole
mostrare dal di dentro anche l’altro. Malgrado ciò, secondo alcuni è
troppo incentrato su di me, benché abbiano voce anche altre persone che
operano con me e diversi migranti. Questo è dovuto al fatto che il film
dura solo un’ora e quaranta, ma le riprese sono durate tre anni. Michel
voleva fare un documentario di quattro ore ma lo abbiamo dissuaso per
renderlo accessibile a più persone possibile. Molte scene e persone
filmate sono state tagliate.
Il suo caso ha inasprito i controlli nella valle con il risultato di ostacolare i passaggi?
È
utopico pensare che la presenza, anche massiccia, di gendarmi possa
fermare i migranti. Nel 2016 ho accolto circa quattrocento persone, tra
maggio e settembre 2017 ne ho viste passare circa 1300, nonostante
l’attenzione dei media sul mio caso e la sbandierata chiusura della
frontiera. Gli arrivi in Europa non si fermano a Ventimiglia ma
purtroppo in mare.
Quale si augura possa essere l’impatto del film?
Il
film mostra che noi non siamo dei semplici passeur e che ci troviamo
tutti di fronte a una situazione forzata, a un dilemma: o chiudiamo gli
occhi davanti alle violenze contro persone uguali a noi e degne di
protezione o ci battiamo contro il sistema imposto dallo Stato. Il film
può servire a mostrare la necessità dell’accoglienza per una semplice
questione etica. Ci sono molti politici di destra che parlano di radici
cristiane della nostra civiltà e di valori che non applicano per nulla.
Il film mostra che la sua militanza si è sempre svolta in un corpo a corpo con il diritto
Abbiamo
difeso il diritto d’asilo perché abbiamo ospitato tantissimi eritrei e
altri che potenzialmente ne avevano titolo. È però vero che quasi tutti i
migranti, anche chi non potrebbe mai averlo, chiede l’asilo e che il
sistema si è chiuso in chiave populista e a priori contro chi arriva in
Europa.
Cosa pensa della politica migratoria dell’attuale governo italiano?
Gli
accordi che l’Italia ha stretto con la Libia sono complici degli
schiavisti e dei loro centri di detenzione disumani. Bisogna chiedere
agli italiani e a Salvini se sono pronti ad accettare i morti, gli
annegati, i torturati pur di non far arrivare migranti nel paese: se
tutti guardano questa verità in faccia e l’approvano, allora continuate
pure così ma un popolo degno è solo quello che tratta degnamente gli
esseri umani. Mi ha sempre stupito che l’Italia non faccia nulla quando
la Francia respinge dei minori non accompagnati in treno. Perché gli
italiani non chiedono a chi è respinto dalla Francia se ha potuto
chiedere il diritto d’asilo come previsto dalla legge? Il numero di
richieste d’asilo in Italia è ridicolo. Si spende più a respingere che
ad organizzare l’accoglienza.
A chi dice che non si può accogliere
tutta la miseria del mondo, che viviamo in tempo di crisi, che manca il
lavoro, mancano gli spazi, i servizi, cosa risponde?
La
migrazione è inarrestabile. I discorsi anti-migranti si ripetono uguali
da sempre, una volta erano contro gli italiani, d’altronde la mia
bisnonna è arrivata anche lei a piedi in Francia dall’Italia con un
viaggio drammatico nel 1918.
Oggi, le relazioni tra Francia e
Italia sono tese per le dichiarazioni del Vice Primo Ministro italiano
Luigi Di Maio secondo cui la Francia alimenta la povertà in Africa con
le sue politiche neocolonialiste. Cosa ne pensa?
Ah, perché
l’Italia non è stato un paese colonialista? Di Maio e Salvini utilizzano
la paura per trarne profitto, ciò non è all’altezza di ministri, e i
loro discorsi sono sterili. Chiaramente sono contro il neocolonialismo
ma vi ricordo che gli eritrei erano colonizzati dall’Italia e il 90 %
delle persone che ho accolto venivano dall’Eritrea. I discorsi del
vostro governo sono strumentali. Da noi, Le Pen ora se la prende con la
Germania dicendo che Macron ci venderà ai tedeschi.
Nel finale del film lei è solo nei suoi campi. Ora qual è la situazione?
Le
persone continuano ad arrivare, circa 600 nel 2018. Rispetto a quanto
si vede nel film abbiamo costruito cucine e strutture più accoglienti.
Questo è un momento tranquillo ma è in estate che gli arrivi crescono.