il manifesto 27.1.19
Edmund Husserl
L’incontro con l’alterità è una esclusiva dello sguardo interno all’esperienza
Filosofia. Un saggio di Roberta De Monticelli su Husserl: "Il dono dei vincoli", per Garzanti
di Silvia Vizzardelli
Il
metodo fenomenologico e il suo ideatore, Husserl, sono spettri del
dibattito filosofico contemporaneo, persino nominati con un certo
pudore, anche da parte di chi è pienamente persuaso della loro
fertilità. La fenomenologia si aggira, appunto, come un morto vivente,
riesumata per onestà storica, ma perlopiù ritenuta incapace di fioriture
concettuali o di adattamenti alle urgenze del mondo in cui viviamo. «Se
dovessi riassumere il mio atteggiamento fondamentale nei confronti
della fenomenologia, lo farei in questo modo: non ne sento il bisogno»:
così scriveva Norberto Bobbio nel 1961 in una lettera indirizzata a Enzo
Paci, manifestando il suo disagio nei confronti delle filosofie che
«salgono sul piedistallo».
A tenere in pugno le chiavi della
sensibilità della nostra epoca sono tendenze che, effettivamente, ben
poco hanno in comune con la fenomenologia: da una parte, il radicato
sospetto per qualsiasi forma di sistema, ovvero di pensiero organizzato
gerarchicamente, di filosofia speculativa; dall’altra, una misteriosa
tendenza a evadere dal mondo umano e a tacciare di antropocentrismo
indebito qualsiasi filosofia che muova da una analisi dell’esperienza.
Gli animali non umani, le piante, gli oggetti ci fornirebbero punti di
osservazione più seducenti. Il metodo fenomenologico viene dunque
giudicato troppo astratto, incapace di poggiare i piedi per terra,
insensibile alle istanze materialistiche e alle esigenze della prassi e,
al contempo, altezzosamente arroccato nel mondo della vita umana.
Il
recente libro di Roberta de Monticelli, Il dono dei vincoli Per leggere
Husserl (Garzanti, pp. 259, euro 15,00) è un invito appassionato a non
prendere per vero ciò che generalmente si imputa a Husserl e alle scuole
fenomenologiche: astrazione e ritiro nell’osservatorio privilegiato
dell’esperienza umana. Il monito husserliano a prendere le mosse
dall’esperienza non ha certo il sapore di un ripiego intimistico o
psicologistico, né quello di un relativismo storicistico, bensì poggia
sulla convinzione che un vero incontro con l’alterità, con il
non-costruito, con le strutture di verità, possa darsi solo dall’interno
dell’esperienza. Uno sguardo che ambisse a balzare fuori
dall’esperienza non incontrerebbe il mondo così com’è, celebrerebbe, al
contrario, il trionfo dell’immaginario.
Lo straniero, vale a dire
ciò che mostra autonomia e indipendenza e non si lascia addomesticare
ponendo dei vincoli alla nostra smania di assimilazione, lo si incontra
solo, e non è un paradosso, attraverso uno sguardo di prossimità. Se c’è
infatti un luogo in cui il metodo fenomenologico si sente a casa è
quello dell’ «intimità clandestina» o dell’ «esclusione intestina», per
riprendere espressioni di Derrida, a torto considerato da Roberta De
Monticelli fra i maggiori esponenti del relativismo postmoderno.
I
capitoli centrali del saggio sono dedicati a sgombrare il campo dagli
equivoci che si annidano intorno alla questione dell’ «idealismo»
husserliano. La fenomenologia, ci ricorda De Monticelli, non è un
idealismo che assimila il mondo alla coscienza che ne abbiamo; né, sul
versante opposto, condivide qualcosa col platonismo scolastico che
colloca le idee in un orizzonte metafisico. Sono queste le pagine più
intense del libro, quelle che si avventurano nell’eidetica o teoria
delle essenze, per caratterizzare con precisione il punto in cui Husserl
colloca i dati non empirici o apriori materiali in netta rottura con
l’empirismo, da una parte, e il kantismo dall’altra.
Pagine
intense non solo per l’esattezza teorica, ma anche per lo stile vibrante
della scrittura. Meno convincenti, invece, i paragrafi che, nel
tentativo di saldare logica ed etica, attribuiscono a Husserl un’anima
sostanzialmente orientata dalla ragione pratica, insistendo sui concetti
di responsabilità, serietà, paideia, termini ai quali viene data una
sfumatura prescrittiva che induce l’autrice a considerare quasi tutta la
filosofia post-fenomenologica affetta da scetticismo morale.