Il Fatto 27.1.19
Suore molestate, vietato parlarne
Potere e
abusi - Molti malumori per l’appello che chiede alle religiose di
denunciare, ma silenziare il problema è sempre più difficile: i casi si
moltiplicano, dal Cile all’India, con i problemi maggiori in Kenya
di Lorenzo Prezzi
In
attesa della riunione di tutti i presidenti delle conferenze episcopali
sul tema degli abusi (Roma 21-24 febbraio) è in movimento il magma
sulle violenze contro le suore da parte di preti e di vescovi.
Particolarmente in Africa, ma non solo. L’eruzione è prevedibile quando
il contesto civile o mediale la favoriranno.
Il 23 novembre è
uscito un comunicato dell’Unione internazionale delle superiori generali
(UISG): “Chiediamo che ogni donna religiosa che sia stata vittima di
abusi denunci quanto accaduto alla superiora della propria congregazione
e alle autorità ecclesiali e civili competenti”. Il comunicato,
condiviso nella sostanza, non è stato da tutti apprezzato per la
tempistica e per non aver scelto canali più interni. Pochi istituti
l’hanno rilanciato.
Il sordo borbottio è in atto da anni. “Teologi
morali e madri spirituali conoscono purtroppo questa realtà che oggi
esplode. Sarebbe grave mettere l’accento unicamente su quanto avviene in
Africa, Cile, India, Filippine ecc. Sono testimone di donne più anziane
di me che sono state abusate da preti nella loro giovinezza anche qui,
nella nostra vecchia Europa. Donne giovani lo sono state più
recentemente negli anni ’80 nel pieno sviluppo delle nuove comunità
legate a movimenti carismatici o a correnti più tradizionali”. Le parole
di suor Geneviève Medevielle, docente onoraria di teologia morale
all’Institut catholique di Parigi inquadrano e legano le informazioni
già note.
Nel 2016 esce in Italia il volume di Anna Deodato,
Vorrei risorgere dalle mie ferite (EDB) in cui si racconta il cammino di
riscatto di alcune suore vittime di abusi. A luglio del 2018, dentro un
più ampia inchiesta dell’Associated Press si denuncia una violenza a
Bologna. In Francia viene pubblicata nel 2017 la testimonianza di un’ex
religiosa, Marie-Laure Janssens (Le silence de la Vierge) e l’anno
seguente quello di Claire Maximova, ex carmelitana (La tyrannie du
silence). Nel luglio 2018 sei religiose cilene denunciano abusi da parte
di un prete visitatore. Nello stesso anno, in India una suora
missionaria di Gesù denuncia il suo vescovo (monsignor Franco Mulakkal).
Un altro vescovo indiano, Prasad Gallela, viene dimesso da Roma per
gravi comportamenti economici e morali. Il 30 luglio 2018 la conferenza
che rappresenta la gran parte delle suore americane chiede di segnalare
gli abusi subiti. L’elenco potrebbe continuare.
Rimane
un’attenzione particolare all’Africa dove si moltiplicano le piccole
fondazioni diocesane. A metà degli anni ’90 suor Maura O’Donohue,
responsabile per la Caritas in ordine alla pandemia Aids, dopo un
sondaggio con religiose in 23 paesi, presenta alle istanze romane uno
studio di denuncia che non ha seguito. Quattro anni dopo, suor Marie
McDonald, porta a Roma un rapporto in cui sottolinea non solo le
violenze inferte alle suore dai “predatori”, ma anche quelle successive
degli istituti che le abbandonano. I testi vengono pubblicati dal
National Catholic Reporter nel marzo 2001. Da Roma parte una lettera ai
vescovi africani, ma senza alcun risultato visibile.
Le violenze
possono essere immediate e gratuite, ma normalmente nascono all’interno
di relazioni di potere e di autorevolezza spirituale e culturale. Una
coltre quasi insormontabile di silenzio sia degli autori che delle
vittime le ha tenute finora nascoste. Pare che i paesi più coinvolti
siano il Congo e il Kenya.
Nel 2002 viene pubblicato un libro di
un prete americano, Donald Cozzens, Il sacro silenzio: negazione e crisi
nella Chiesa, in cui si riprendono alcune denunce. Più recentemente,
suor Mary Lembo, prepara una tesi di dottorato all’istituto di
psicologia della Gregoriana affrontando 12 casi di aggressione sessuale e
sottolinea il ruolo particolare del prete: “È una figura rispettata e
temuta. Le vittime tendono a colpevolizzarsi. Nei casi esaminati è
spesso la religiosa che è messa in questione. È stata lei ad attirare
sguardi e attenzioni: e spesso è direttamente condannata”.
La
Congregazione per la vita consacrata, grazie all’impulso degli attuali
dirigenti, è da tempo alla ricerca di una via d’uscita su una materia
che coinvolge non solo i religiosi e le religiose, ma anche la
Congregazione del clero e quella dei vescovi. È possibile che
all’indomani della riunione prevista a fine febbraio qualche decisione
venga presa. Non si tratta solo di complessi problemi di maturità
psicologica del clero e di relazione fra le diverse responsabilità degli
organismi vaticani. Vi sono elementi su cui incidere, sia nell’ambito
delle strutture locali, sia in quelle, assai meno condizionabili, delle
culture.
La moltiplicazione, negli ultimi decenni, di piccole
congregazioni femminili in capo al vescovo fa sì che non vi siano
controlli interni adeguati e, alla sua morte, le religiose siano
abbandonate a loro stesse. Gli istituti internazionali che hanno
maggiori competenze e autonomie finanziarie hanno deciso di non chiedere
più alle novizie di ottenere una lettera di presentazione del parroco,
ma di chiederla attraverso la religiosa che ha contattato l’interessata.
Così si richiede oggi al vescovo che vuole fondare una congregazione un
parere obbligatorio (ma non purtroppo vincolante) del Dicastero romano.
La spinta verso organismi rappresentativi a livello nazionale dovrebbe
meglio garantire gli istituti più fragili e l’insistenza sulle
formatrici e la loro qualificazione è diventata generale.
La parte
più difficile è modificare le culture e il rapporto fra maschio e
femmina in esse. Al sinodo del 2009 (sinodo speciale per l’Africa) era
stato suggerito un confronto anche sul celibato dei preti, ma molti
vescovi africani si sono duramente opposti. Si sentivano offesi perché
gli africani erano considerati meno capaci di ottemperare al celibato
degli altri. Una responsabile internazionale delle suore mi raccontava
del suo stupore davanti alla piccata reazione di suore di colore
rispetto alle denunce sugli abusi. “Voi li chiamate abusi, ma non capite
la relazione fra donne e maschi della nostra tradizione culturale”.
Diverso
anche l’esercizio dell’autorità. Il prete è spesso considerato come il
capo villaggio, con tutti i comportamenti che questo riveste. Non siamo
distanti dalla denuncia contro l’Occidente di imporre i suoi
riferimenti, con una sorta di nuova colonizzazione interna al
cristianesimo. Come se, dopo la democrazia in sede politica e il mercato
in economia, si volesse decretare sulla cultura morale. Un passaggio
delicato che, fra le agenzie mondiali, solo la Chiesa cattolica è in
grado oggi di affrontare, ma il cui esito non sarà né facile né
immediato.