il manifesto 26.1.19
Le radici moderne dello sterminio
Novecento.
In occasione del Giorno della Memoria, parla lo scrittore tedesco Uwe
Timm, autore di «Un mondo migliore» (Sellerio). Nella Germania sconfitta
si indaga sulla figura di Alfred Ploetz, il «padre» dell’eugenetica
nazista. «Volevo capire come fosse stato possibile che uno degli
scienziati nazisti, che era stato socialista in gioventù, fosse passato
dall’anelito all’uguaglianza al progetto dell’igiene razziale»
di Guido Caldiron
Uwe
Timm è abituato a misurarsi con le contraddizioni della storia tedesca,
le zone d’ombra e le linee di confine che hanno segnato profondamente
anche le vicende della sua famiglia. Non a caso, tra le opere più note
dello scrittore, considerato un esponente significativo della scena
intellettuale cresciuta in Germania dopo il Sessantotto, c’è Come mio
fratello (Mondadori, 2005), un romanzo dedicato alla vicenda di
Karl-Heinz, il fratello maggiore arruolatosi volontario nella divisione
Totenkopf delle SS, morto a 19 anni in Ucraina e al modo in cui quella
scelta terribile fu vissuta dalla sua famiglia.
Nato ad Amburgo
nel 1940, Timm che vive da tempo a Monaco dopo lunghi periodi di studio e
lavoro tra Francia gli Stati Uniti e Italia, ha partecipato ai
movimenti studenteschi della fine degli anni Sessanta ed è stato a lungo
una delle voci più note della sinistra culturale tedesca. Tra le sue
opere pubblicate anche nel nostro paese, i romanzi La scoperta della
currywurst (Le Lettere, 2003), che torna sulla tragedia del conflitto e
del secondo dopoguerra tedesco, L’amico e lo straniero (Mondadori, 2005)
e Rosso (Le Lettere, 2005), entrambi incentrati sulla storia e il
bilancio del Sessantotto e dei suoi protagonisti in Germania, oltre alla
serie di racconti per l’infanzia che hanno come protagonista Mimmo il
maialino corridore.
IL SUO NUOVO ROMANZO, Un mondo migliore,
pubblicato da Sellerio in occasione del Giorno della Memoria (traduzione
di Matteo Galli, pp. 518, euro 15,00) si muove ancora una volta con
grazia lungo il confine tra la ricostruzione storica e la disanima
interiore, attraverso figure che si misurano con scelte e orizzonti che
peseranno a lungo sul destino del mondo intero. I piani narrativi, che
il titolo dell’edizione italiana del libro – in tedesco era Ikarien –
rende immediatamente, sono due: da un lato la scoperta della Germania
all’indomani della caduta del Terzo Reich attraverso gli occhi di
Michael Hansen, un giovane militare americano di origine tedesca mandato
in missione per indagare sui crimini degli scienziati nazisti,
dall’altra la ricostruzione della traiettoria umana e scientifica di
Alfred Ploetz, uno dei padri degli «esperimenti» di eugenetica razziale
sui quali prenderà forma lo stesso progetto della Soluzione finale.
E
sarà proprio indagando su Ploetz, morto nel 1940, attraverso i ricordi
di un suo compagno di gioventù, Karl Wagner, imprigionato nel campo di
concentramento di Dachau dai nazisti perché vicino ai socialdemocratici,
che Hansen scoprirà come il futuro artefice dell’«igiene razziale»
hitleriana fosse stato inizialmente un seguace delle teorie del filosofo
francese Étienne Cabet, fautore di una società utopica che voleva
annullare ogni differenza tra gli esseri umani e al quale si ispireranno
diverse «comuni» sorte in particolare negli Stati Uniti alla fine
dell’Ottocento. Allontanatosi progressivamente dall’utopismo socialista e
abbracciata la dottrina nazionalista delle «radici nordiche» della
Germania, Ploetz sposterà la sua attenzione dal superamento delle
differenze di carattere sociale a quelle biologiche. Nei suoi diari
scriverà: «L’uguaglianza può essere raggiunta solo da uno sviluppo
superiore generale (…) Ci deve essere una rivoluzione biologica che vada
ad integrare quella sociale».
«Il romanzo – spiega Uwe Timm – è
nato dalla mia volontà di capire come fosse stato possibile che un uomo
come Ploetz, che era stato socialista, una volta dedicatosi alla scienza
avesse potuto trasformare il suo anelito all’uguaglianza nel progetto
dell’”igiene razziale”, in quella prospettiva eugenetica che
dall’eliminazione delle persone con handicap fisici o mentali avrebbe
condotto via via fino ad Auschwitz».
Lo scrittore tedesco Uwe Timm
LA
DERIVA RAZZISTA, e omicida, di Ploetz, come quella di altri scienziati
nazisti, sembra evocare da questo punto di vista alcune delle tesi
esposte da Adorno e Horkheimer nella Dialettica dell’illuminismo, dove
si evidenzia come dall’autodeterminazione razionale degli individui il
progetto illuminista si sia risolto talvolta nel suo opposto, come
accaduto ad Auschwitz. Non a caso, Timm ricorda che «l’eugenetica
interessò inizialmente anche i socialisti perché sembrava porre un
interrogativo su come creare una forma di uguaglianza che riguardasse
ogni aspetto dell’umanità, non solo quello sociale. E già prima dei
nazisti, la sterilizzazione forzata di alcuni cittadini fu praticata in
Danimarca come negli Stati Uniti negli anni Venti. E ancora nel
dopoguerra fu praticata nella Svezia governata dai socialdemocratici».
Perciò,
se è evidente come il nazismo fece di queste pratiche, fino alla
progressiva definizione del progetto di sterminio razziale, il cuore
stesso dell’«ordine nuovo» che intendeva costituire in tutta Europa,
secondo lo scrittore, è l’idea stessa che la scienza possa progredire
senza interrogarsi minimamente sulle proprie scelte ad interrogare
ancora l’umanità. «All’epoca si volevano creare “bambini ariani”
attraverso il progetto Lebensborn, oggi si cerca di manipolare i
cromosomi. Tutto ciò deve essere discusso, si deve tracciare una linea
rossa. Gli scienziati dovrebbero impegnarsi in una discussione pubblica
sulla responsabilità, e quindi anche sulla moralità delle loro scelte.
Ploetz. come anche Darwin del resto, pensavano che la scienza avrebbe
risolto tutto. Le considerazioni politiche e morali erano state messe
completamente da parte. Prima della Seconda guerra mondiale gli
scienziati tendevano a credere che tutto avvenisse nell’uomo. Le ragioni
sociali, il contesto nel quale si viveva erano considerati solo
marginalmente come causa di malattie e infezioni. Si legava tutto alla
teoria dell’ereditarietà. Era un approccio fatale che sappiamo a cosa ha
condotto».
IL MODO NEL QUALE si è costruita la «modernità»
dell’Europa e il suo intreccio con lo sviluppo dello stesso
nazionalsocialismo sono del resto da tempo al centro del lavoro di Timm,
autore, già nel 1978 di Morenga, un romanzo tuttora inedito nel nostro
paese dedicato allo sterminio compiuto dai tedeschi in Namibia contro le
popolazioni Herero e Nama all’inizio del Novecento: una vicenda che per
certi versi annunciava quanto sarebbe accaduto durante il regime di
Hitler. Infatti, come ricorda Timm, «molti dei soldati che avevano
combattuto in Namibia finirono nei Freikorps, le milizie antisemite e
naziste che dopo il 1918 terrorizzavano le città tedesche a caccia di
comunisti. Uno dei generali nazisti, Franz von Epp, era un veterano
della Namibia». Da questo punto di vista, «l’Africa fu un laboratorio
per le atrocità successive dei nazisti. In base alle teorie
socialdarwiniste, vi fu una deumanizzazione mostruosa degli africani. I
tedeschi finirono per essere totalmente privi di empatia, ammazzavano e
stupravano senza remore o rimorsi. Questo odio verso gli africani era
motivato anche da un sentimento di totale estraneità».
IN «UN
MONDO MIGLIORE» c’è però spazio anche per il ricordo della prospettiva
che con la caduta del nazismo si stava aprendo per i tedeschi. Per Timm
che all’epoca aveva solo cinque anni si tratta di tornare con la memoria
a giornate nelle quali si intrecciavano incertezze e grandi speranze.
Uno dei protagonisti del romanzo, Michael Hansen, che nella storia
contribuisce anche alla creazione della rete di biblioteche nelle quali
la generazione del dopoguerra scoprirà i classici della narrativa
americana così a lungo vietati dal regime, sembra assomigliare a quei
soldati di cui lo scrittore conserva un vivido ricordo ancora oggi.
«Apparivano così diversi da mio padre, con la sua disciplina prussiana e
la sua fissazione per l’ordine. Sembravano sempre rilassati,
camminavano con le mani in tasca. E poi avevano un odore diverso dai
soldati tedeschi. Non sapevano di stantio, ma di fresco, come le gomme
da masticare che ci regalavano insieme alle sigarette e alla
cioccolata».