il manifesto 26.1.19
Urge la memoria del presente
di Fabrizio Tonello
Quando
si istituiscono i «giorni della memoria» vuol forse dire che la memoria
è scomparsa e che non si sa più di cosa si stia parlando? Sarebbe
quindi meglio forse abolire subito la legge 211 del 2000?
Quella
che istituisce il 27 gennaio come data in cui ricordare la Shoah e le
leggi razziali, prendendo atto che gli incontri, i concerti, i monumenti
alle vittime delle violenze nazifasciste sono stati un fallimento ?
Domenica
risuoneranno in tutta Italia i giusti appelli a «non dimenticare» ciò
che accadde nel 1933-45, mentre martedì scorso, vicino a Roma, è
iniziato lo sgombero all’alba di una struttura abitativa, usando
l’esercito. Separazione delle famiglie. Rifiuto di comunicare dove le
vittime dell’operazione vengono deportate. Tutto normale, per gli organi
di propaganda del regime nell’Italia del 2019, esattamente come il
«mantenimento dell’ordine» nella Germania del 1936 sembrava un
necessario accompagnamento delle scintillanti esibizioni degli atleti
olimpici. Il problema non è che l’Italia di Salvini sia come la Germania
di Hitler, ci mancherebbe: la questione è invece che la retorica del
«male assoluto» ha nascosto le radici profonde, e la terribile
normalità, della violenza contro i diversi.
La persecuzione
antiebraica è stato un crimine unico nelle sue dimensioni ma non nella
sua organizzazione burocratica, nella sua puntigliosità persecutoria
verso tutte le minoranze: il lager di Dachau – lager vuol dire «campo di
sterminio», mentre oggi “fortunatamente” ancora denunciamo i campi di
concentramento – fu aperto per ospitare prigionieri comunisti, seguiti
da zingari e omosessuali, Auschwitz e Mauthausen vennero dopo. Oggi
forse non si dice che bisognerebbe rastrellare i negri (ribattezzati
«clandestini» anche quando palesemente non lo sono) e bruciarli (anche
se ogni tanto qualche bello spirito lo scrive su Facebook) ma si
dichiara tranquillamente ad alta voce che se annegano nel Mediterraneo, o
vengono torturati dai nostri (sì, nostri) scherani in Libia, non è
colpa di nessuno.
Sugli zingari, esponenti del governo dicono
tranquillamente che bisognerebbe «deportarli», anche quando sono
italiani. Oggi si parla di Shoah molto più di quanto se ne parlasse
negli anni Cinquanta ma, apparentemente, nessuno fa caso ad un ministro a
cui piacciono un po’ troppo le divise e il linguaggio da gerarca
nazista.
Al ritorno dai lager, i sopravvissuti non volevano
parlarne, tanto meno venivano incoraggiati a farlo. Solo lentamente, nel
dopoguerra, il tema entrò nel dibattito pubblico, in particolare dopo
la pubblicazione del libro di Hannah Arendt La banalità del male, che
non a caso fu frainteso all’epoca ed è dimenticato nel suo messaggio
politico oggi. Un messaggio politico tanto semplice quanto difficile da
accettare: la linea tra civiltà e barbarie, citata in questi giorni dal
presidente Mattarella, è più sfumata di quanto ci piacerebbe credere:
«Le azioni erano mostruose ma chi le fece era pressoché normale» scrisse
appunto Hannah Arendt.
Quelle azioni mostruose ci appaiono oggi
lontane vicende di un’epoca incomprensibile in cui non esistevano i
telefonini, Facebook, Twitter e Amazon. Al contrario, sono parte
costituente della nostra vita quotidiana: nascoste dove si può (come in
Cina dove si fabbricano i nostri cellulari o nell’Africa «ricca» dei
minerali che li compongono), rivendicate quando non si può nasconderle,
come al confine tra Stati Uniti e Messico, dove migliaia di bambini e
ragazzi sono stati «persi» dall’amministrazione Trump dopo la
separazione dalle famiglie.
La politica del Giorno della Memoria,
quindi, ha senso solo se riallaccia fascismo e nazismo alle loro origini
violente. Alle loro «persecuzioni contro tutte le minoranze», come
ripete Liliana Segre sopravvissuta ad Auschwitz. Se non è in grado di
farlo, rischia di distogliere l’attenzione dai crimini quotidiani
commessi in nostro nome.