il manifesto 23.1.19
Per una genealogia del pensiero radicale
Secolo
breve. «Alle frontiere del capitale», a cura di autori vari, pubblicato
da Jaca Book. Il volume fa parte del progetto «L’Altronovecento», una
nutrita enciclopedia del «comunismo eretico». La crisi ambientale,
orizzonte del nostro tempo, costituisce una grande rottura. Le classi
dirigenti non offrono soluzioni né la via d’uscita tecnico-scientifica
di Michele Nani
A
otto anni dall’uscita del primo volume, si avvicina al compimento
l’ambizioso progetto della Fondazione Micheletti di Brescia e della casa
editrice milanese Jaca Book: L’Altronovecento, una grande enciclopedia
del «comunismo eretico» e del «pensiero critico» novecenteschi. Alla
scansione geografica dei primi cinque volumi (due sull’Europa e due
sulle Americhe, l’ultimo – ancora in lavorazione – su Africa e Asia),
segue ora una raccolta di contributi sul presente, Alle frontiere del
capitale (pp.416, euro 40), curato da Massimo Cappitti, Mario Pezzella e
Pier Paolo Poggio.
La Presentazione dei curatori delinea la
«duplice tensione» all’origine del volume: «etica», «perché con il
capitalismo dilagante non si può transigere» nell’epoca in cui il
rapporto di capitale minaccia le basi stesse della vita sulla Terra;
«teorica», perché urgono strumenti in grado di pensare e di trasformare
un mondo in pericolo. Per ricostruirli, i principali punti di
riferimento sono qui offerti dal «comunismo eretico», cioè dalle
«esperienze radicali che non si sono declinate in forma di partito o di
Stato, entrambi manifestazioni del potere concentrato della modernità».
IN
REALTÀ, IL VOLUME prescinde da una partizione così drastica, che in
fondo offrirebbe consolazione ideologica a una ragione vittimistica: il
racconto di un’«eresia» rivoluzionaria sconfitta spiegherebbe in maniera
riduttiva (la repressione convergente dell’«ortodossia» sovietica e del
nemico di classe) perché storicamente non si siano invertiti i rapporti
fra le parti; e non permetterebbe comunque di capire perché dopo il
1989 la crisi del socialismo reale ha trascinato con sé non solo le
socialdemocrazie, ma anche le diversissime forze politiche alla sinistra
del comunismo maggioritario.
Raccogliere in un solo volume le
esperienze odierne di critica radicale al capitalismo è compito assai
impegnativo. Forse avrebbe giovato un riferimento ad altri tentativi
contemporanei, come quello del sociologo svedese Göran Therborn (From
Marxism to Post-Marxism, Verso 2008; New Masses?, New Left Review, n.
85, 2014). La mappa che ne risulta è inevitabilmente parziale e
selettiva, ma anche diseguale per genere di contributo (dal saggio
teorico ai semplici appunti), per orizzonte disciplinare e, va detto,
anche per effettivo rilievo e chiarezza di lettura. Oltre a questa
natura variegata, anche la mole del libro (quattrocento pagine
fittissime) e la sua articolazione in cinque blocchi (Ecologia e
socialismo; Lavoro e capitale; Soggettività e forme di vita; Oltre la
politica; Brecce) rende impossibile una trattazione unitaria.
FRA I
MOLTI POSSIBILI, un filo per attraversare il volume, richiamato a più
riprese dalla Presentazione, può essere offerto dal rapporto con la
storia, un tratto rivelatore in un tempo assediato dal «presentismo»
(François Hartog). Contro la «naturalizzazione» del capitalismo in un
«presente astorico», ma senza cedere al rifugio nella memoria del
passato o alla celebrazione delle aperture del «nuovo», Massimiliano
Tomba invita a pensare, sulla scorta dell’ultimo Marx, di Benjamin e di
Bloch, all’assemblaggio odierno di temporalità diverse. Il farsi globale
della storia umana, sincronizzata dal «valore» forgiato dal rapporto di
capitale, produce immancabilmente «anacronismi», che sono forieri di
sviluppi alternativi: non come ritorno a forme sociali passate, ma per
le opportunità presenti che dischiudono.
La presenza di modalità
di relazione non mercantili e le anticipazioni di un diverso modo di
vivere che si danno nel momento della lotta e dell’organizzazione
rappresentano tensioni che orientano il presente verso un diverso futuro
– un tema al centro anche dell’intervento di Kristin Ross
sull’attualità della Comune parigina nelle lotte in difesa del
territorio, come quelle della Zad francese e dei No-Tav valsusini.
LA
FINE del «progressismo» informa anche il saggio di Pier Paolo Poggio:
la crisi ambientale, orizzonte del nostro tempo, costituisce infatti una
rottura storica. Se l’indifferenza e l’inerzia di fronte ad allarmi
ormai quotidiani accomunano gran parte delle classi dirigenti, non
offrono soluzioni né la via d’uscita tecnico-scientifica (adattarsi a un
mondo artificiale), né la teorizzazione di uno «sviluppo sostenibile»
(civilizzare il capitalismo). Si delinea invece un’alternativa a partire
dai conflitti ambientali e dalla critica degli usi e delle
appropriazioni della scienza e della tecnica, verso una conversione
ecologica della società che ponga limiti alla distruzione della Natura,
ad esempio riducendo i consumi energetici e la produzione di rifiuti,
ristabilendo forme di circolarità e valorizzando un settore primario
de-industrializzato.
Come ribadisce Michael Löwy questa
prospettiva «ecosocialista» richiederebbe una «politica economica
fondata su criteri non monetari ed extraeconomici», dunque la
fuoriuscita dal capitalismo, verso una società a piena occupazione con
il controllo pubblico sui mezzi di produzione, attraverso una
pianificazione democratica e partecipata che soddisfi i bisogni (cibo,
alloggio, vestiario) e i servizi (salute, educazione, comunicazioni e
cultura).
QUESTO «COMUNISMO solare» trova una suggestiva
formulazione nello scritto di Giorgio Nebbia, uno dei padri
dell’ecologismo italiano, che si riallaccia alla tradizione utopistica
con una Lettera dal 2100. Vi si descrive una «società postcapitalistica
comunitaria» retta dalla «proprietà collettiva» e tesa a minimizzare le
scorie inquinanti: un arcipelago di piccoli insediamenti resi
autosufficienti dal decentramento di produzione di energie rinnovabili.
Il rapporto fra marxismo e utopia è al centro del contributo del
compianto Miguel Abensour, alla cui memoria è dedicato il volume.
NELL’IMPORTANTE
SAGGIO dello storico Karl-Heinz Roth si propone una riformulazione
della critica marxiana dell’economia politica alla luce degli sviluppi
storici, ampliando le forme che contribuiscono alla valorizzazione
(lavori non salariati, riproduzione, natura) e introducendo maggiore
attenzione all’espropriazione delle popolazioni messe al lavoro e al
peso della rendita fondiaria: il capitalismo vede il continuo ripetersi
di dinamiche di «accumulazione originaria», a permanente sconvolgimento
della natura e della società. Si deve a un sociologo, Ferruccio Gambino,
un ricco profilo del lavoro contemporaneo, a partire dalla compresenza
di forme di lavoro coatto (dominate dalla «paura» per la propria
incolumità) e di salariato più o meno precario (che genera «timore» di
disoccupazione).
DI QUESTA SITUAZIONE, articolata dal diritto o
meno alla mobilità, si traccia un’interessante genealogia
secondo-novecentesca, a partire dall’esperienza statunitense, precoce
ispirazione per il resto d’Occidente, dalle realtà postcoloniali,
laboratori di precarizzazione, e dal «tradimento» (con Raniero Panzieri)
del movimento operaio europeo che è alle radici della frammentazione
estrema del lavoro contemporaneo.
Il volume presenta contributi
interessanti, anche se spesso parziali, su molti altri aspetti del
presente, dalla cultura di massa (Daniele Balicco) alla forma-Stato
(Alessandro Simoncini), e insiste opportunamente, nel contributo di
Carlo Tombola, sull’orizzonte della catastrofe atomica globale e sulla
proliferazione della produzione di armi, usate soprattutto in guerre
contro i civili. Piace tuttavia chiudere con una nota di speranza
nell’«esperienza plebea», che si presenta, secondo il contributo di
Martin Breaugh, in ricorrenti lotte per allargare la democrazia, che
hanno il loro paradigma nell’Aventino dell’antica Roma e le loro ultime
incarnazioni nelle Primavere arabe e in Occupy Wall Street.