il manifesto 22.1.19
Paolo Mereghetti, la mia storia del cinema e le stellette del critico
Intervista.
L’autore racconta la nuova edizione del «Dizionario dei film» che in
Italia, dalla prima edizione nel '93, ha inventato un genere editoriale
di Cristina Piccino
Tutto
comincia alla fine degli anni Ottanta quando l’arrivo delle tv private
(berlusconiane e non solo) moltiplica l’offerta di film, una gioia per i
cinefili più accaniti e voraci fino allora mortificati dalla poca
varietà nei palinsesti del servizio pubblico ma che complica la scelta:
come orientarsi tra titoli e autori spesso sconosciuti? A partire da
questa esigenza Paolo Mereghetti, critico del «Corriere della sera»,
comincia a lavorare sull’idea di una «guida», il cui modello di
riferimento era un po’ l’americano a Leonard Maltin’s Movie and Video
Guide: schede su un certo numero di film ma soprattutto un’indicazione
critica di merito certificata dal suo autore. Insomma qualcosa di più di
una semplice raccolta di informazioni ove a garantire per i film
consigliati e per quelli da evitare c’è la firma di Mereghetti. «Il
progetto si è arenato, Livio Garzanti, l’editore a cui l’avevo
sottoposto non amava per nulla il cinema» racconta. Lui però non si
arrende e prova con altri editori piccoli, più attenti all’unicità di un
prodotto inedito in Italia finché non incontra Dalai – «Era appena
uscito da Einaudi » – che accetta la scommessa con
Baldini&Castoldi. La prima edizione di Il Mereghetti. Dizionario
dei film con circa diecimila titoli esce nel 1993, ne vengono tirate
cinquemila copie, se ne vendono sessantamila: un successo sorprendente.
Da allora fino a questa nuova edizione 2019 (Baldini±Castoldi) questa
personalissima storia del cinema – sempre biennale – è cambiata a ogni
edizione, si sono aggiunti nuovi titoli, e non solo tra i film
contemporanei, le schede sono state riviste e ampliate, qualche volta
sono cambiate le stellette che esprimono il giudizio dell’autore – tra
le new entry ISVN – Io sono Valentina Nappi di Monica Stambrini – due
stellette e mezzo. E nonostante la rete e i «consigli» social, Il
Mereghetti – che in rete non c’è – continua a essere un riferimento.
Anzi forse di più oggi nell’era di internet che se rende le
consultazioni veloci spesso accumula errori nell’anonimato. Qui la
garanzia è invece il nome dell’autore (oltre a un lavoro editoriale
puntiglioso) e il suo punto di vista che si può non condividere ma che
implica una responsabilità. Ne abbiamo parlato con Paolo Mereghetti.
Dalla
prima edizione «Il Mereghetti» ha continuato a trasformarsi cercando di
rispondere a quell’esigenza che tu stesso affermi nella prefazione
dell’edizione 2019, costruire cioè «un possibile percorso di rilettura
critica del cinema». Come avvengono le scelte – e come si determinano i
ripensamenti?
A volte succede in modo casuale, rivedi un film e ti
rendi conto che non ne hai colto in pieno i meriti. L’esempio che cito
sempre è La vita agra (1964) di Carlo Lizzani, che è un grande film in
cui l’autore fa suo trasportandolo in Italia il percorso della Nouvelle
vague. La prima visione si affidava alla memoria, rivederlo ha
modificato il giudizio. Altre volte quando rileggo le schede delle
edizioni precedenti mi rendo conto che alcune meritavano un testo più
articolato, un numero maggiore di dettagli. Di alcuni registi come
Anghelopulos, Rohmer, David Lean , Kurosawa in questa edizione abbiamo
rivisto la messa a punto critica, specie per i primi film di Lean che mi
sembrava avessero bisogno di un maggiore approfondimento, Spirito
allegro (1945) e Sogno d’amanti (1949) sono sorprendenti. Lo stesso vale
per Lelouch. Poi abbiamo ripensato alcuni discorsi critici, per esempio
il cinema postmoderno degli anni ’80, De Palma. E le nuove visioni
cambiano anche il giudizio – ma su Leone non ho cambiato idea.
L’ambizione è, appunto, di ripensare una generale storia del cinema.
Il
tuo dizionario è stato il primo a utilizzare le stellette per
sintetizzare il giudizio. Oggi stelle, palline e quant’altro sembrano
valere più di un testo critico. Cosa ne pensi?
La stelletta
all’inizio era un modo per esprimere un giudizio ultrasintetico, un po’
come quando un amico ti chiede se vale la pena di vedere un film e tu
gli rispondi sì o no. Oggi nella superficialità che domina tutto si
riduce a questo. Nel Dizionario dei film però le stellette continuano a
avere una funzione riconoscibile che rimanda alle schede, a una
riflessione critica articolata, non valgono di per sé. Ogni giudizio
riflette la mia idea del cinema, lavoro con un gruppo di collaboratori
scelti perché siamo in sintonia ma le schede le rivedo tutte io, spesso
intervengo, riscrivo. In generale sono generoso coi film, cerco di
trovare una possibile qualità anche in quello il cui giudizio si
sintetizza in poche stelle. Ci sono casi «controversi», che discutiamo
molto ma alla fine le stellette sono tutte mie. Non sono un fan di von
Trier, ma rispetto un’idea critica positiva su di lui, e poi
confrontarsi è sempre importante, aiuta a capire cose che forse mi sono
sfuggite.
La rete, i molti strumenti gratuiti diffusi in questi anni hanno pesato sul dizionario?
Il
lavoro offerto qui è diverso da quanto si trova in rete dove spesso i
materiali sono parziali e le recensioni specie dei film recenti non sono
meditate. Una cosa come Il Mereghetti in rete non c’è, e non si trovano
nemmeno informazioni su tanti film del passato nemmeno sui siti più
consultati come Mymovies o Rivista del cinematografo.Ci sono poi siti
come imdb molto utili per i dettagli produttivi o su cast e credits ma
anche lì tante cinematografie mancano e le schede non sono mai complete.
Al di là di questo un elemento altrettanto importante è l’autorevolezza
del critico: lo hai letto una, due, tre volte, hai voglia di
confrontarti con lui pure se non sei d’accordo. Penso che la credibilità
renda il Dizionario dei film uno strumento di valore.
A proposito
della critica: in che modo è cambiato il suo ruolo oggi? Se i giornali
vengono letti sempre meno in rete l’esercizio critico specie sul cinema è
tra i più diffusi.
Chiunque può decidere di essere critico o
meno, io metto a disposizione nelle recensioni la mia conoscenza della
storia del cinema. A quante persone serve non so ma uno fa quello che
può fare. C’è chi mi rimprovera di non mettere Il Mereghetti on line,
potrei fare un sito, a volte ci penso. Però sono ancora contento quando
vedo un film che mi aiuta a capire qualcosa. Un esempio? Città in
agguato (di Basil Dearden, 1951, ndr), ne sono rimasto folgorato.