il manifesto 22.1.19
«Ci avete ingannato stiamo tornando nell’inferno libico»
I migranti sulla Lady Sham. La denuncia di Alarm Phone: «Adesso minacciano di uccidersi»
di Adriana Pollice
È
andato avanti fino alla mezzanotte di domenica il trasbordo dei cento
naufraghi rimasti per almeno 15 ore in mare, a largo di Misurata, tra i
resti del gommone che affondava. Sono stato raccolti dal cargo Lady
Sham, bandiera della Sierra Leone, mandato solo a tarda sera dalla
Guardia costiera di Tripoli, su pressione del governo italiano. Hanno
rischiato di morire per ipotermia (e forse uno dei bambini ne è morto)
ma il sollievo è durato poco. Quando si sono resi conto che facevano
rotta verso Misurata, hanno fatto la stessa cosa che li ha salvati
dall’annegamento, hanno chiamato i volontari di Alarm phone, la
piattaforma che raccoglie gli Sos dal Mediterraneo: «Due sopravvissuti
ci hanno contattato dal mercantile – hanno scritto ieri pomeriggio su
twitter -, hanno capito che li stanno riportando in Libia e dicono che
preferirebbero uccidersi piuttosto che sbarcare. Era stato detto loro
che sarebbero stati sbarcati in Italia, il rimpatrio in Libia è uno
shock, siamo preoccupati per il loro stato fisico e mentale».
Era
stato Alarm phone domenica mattina a inoltrare la richiesta di soccorso.
Le condizioni del gommone sono però degenerate rapidamente, dal
battello l’appello drammatico di uno dei naufraghi: «Non ho bisogno di
essere al telegiornale, ho bisogno di essere salvato». E ancora: «Stiamo
congelando, siamo disperati». Il resoconto dei volontari è drammatico:
«Abbiamo chiamato sette numeri differenti della cosiddetta Guardia
costiera di Tripoli senza risposta. Malta ci ha fornito un ottavo
numero, che non risponde. Abbiamo avvisato Italia e Malta che la Libia
non è raggiungibile. Nessuno ha attivato il soccorso». Domenica
pomeriggio è arrivato un velivolo dell’operazione Ue Sophia, solo
intorno alle 22 la Lady Sham ha cominciato le operazioni di trasbordo.
«Erano
in acque internazionali quando sono stati salvati – ha poi spiegato
Alarm phone -, dunque sono stati illegalmente riportati nella Libia
sconvolta dalla guerra. Questo viola le leggi internazionali». Opinione
condivisa dall’Unhcr che, con Carlotta Sami, sottolinea: «Il ritorno di
persone da acque internazionali verso la Libia è contro il diritto
internazionale. Si dice che è stato un successo aver fermato questo
barcone ma è stato ottenuto sulla pelle delle persone».
Per
giustificare il mancato intervento, la Guardia costiera libica ha
diffuso un report: domenica sarebbero stati recuperati 393 migranti in
tre interventi. In quanto ai cento, Tripoli sostiene di avere assunto il
coordinamento del salvataggio inviando però il cargo per carenza di
motovedette. Venerdì scorso sono annegati in 117, in quel caso il
mancato intervento è stato attribuito a un’avaria. «L’Italia conosce la
nostra situazione, chiediamo maggiori aiuti all’Ue» ha concluso
l’ammiraglio Ayoub Qassem. Un richiamo al governo gialloverde, che aveva
promesso addestramento e nuove navi, per ora non consegnate.
Non
hanno ancora un porto di sbarco i 47 salvati sabato dalla Ong Sea Watch:
«Siamo in mezzo al mare, nessuno ci dice dove andare né sappiamo di chi
è il coordinamento dell’operazione». Anche a bordo della Sea Watch 3 i
migranti sono preoccupati: «Non vogliono tornare nei lager libici – ha
spiegato la portavoce dell’Ong, Giorgia Linardi -. Quando hanno saputo
che la Lady Sham era diretta in Libia hanno commentato: ’Li stanno
riportando all’inferno’. È un altro caso Nivin». Il riferimento è ai 79
che lo scorso novembre si rifiutarono di scendere nel porto libico dove
erano stati ricondotti. Per Linardi l’Italia sta avallando un
respingimento: «Palazzo Chigi è intervenuto nel coordinamento dei
soccorsi, c’è quindi una responsabilità italiana. Il ministro Toninelli
non considera i trattati internazionali. Oltre al principio di non
respingimento, è stato violato il diritto del mare: la Libia non è un
porto sicuro».
Sulla Sea Watch 3 ci sono 8 minori non
accompagnati, il tempo è in peggioramento: la nave è al largo di
Tripoli, la priorità è trovare un riparo dal mare in tempesta. Nel
precedente salvataggio ci sono voluti 19 giorni per ottenere il porto di
sbarco. «Mandiamo mail a tutti: Malta, Italia, Libia, Olanda e nessuno
dice nulla – conclude Linardi -. I libici non hanno mai risposto. Si
ignorano di nuovo le norme internazionali sullo sbarco in un porto
vicino e sicuro».