il manifesto 22.1.19
Come trasformare anche la vittima in carnefice
La
realtà rovesciata. La gestione poliziesca dei respingimenti, assurta
nel frattempo a politica dei porti chiusi, può essere dunque spacciata
per «guerra ai trafficanti». L’ipocrisia giunge al punto di ergersi a
liberatori dei migranti, da un canto criminalizzati, dall’altro
considerati individui affetti da minorità
di Donatella Di Cesare
Gommoni
vuoti e vite consegnate per sempre agli abissi. Di chi è la colpa? Chi
chiamare in causa? Perché, certo, se quei corpi non fossero scomparsi
così nelle acque, senza quasi lasciare traccia, se fossero insepolti,
l’uno accanto all’altro, nello spasimo dell’ultimo respiro, nello
strazio della speranza sfuggita, la strage sarebbe mediaticamente più
vistosa.
Com’è facile lasciar morire grazie alla complicità del
mare! Poi diventa agevole presentarsi con il volto ipocrita e cinico del
governante innocente sollevando da ogni peso il pubblico grato dei
votanti.
Basta ricorrere ad una strategia narrativa ormai da tempo
collaudata: usurpare alla vittima persino la sua condizione, farne un
carnefice. I veri colpevoli sarebbero, dunque, gli africani – mentre gli
europei, in primo luogo gli italiani, subirebbero il crimine. Quale? Ad
esempio la «sostituzione etnica» divulgata dai complottisti
giallobruni. È un bel conforto non solo essere scagionati da ogni colpa,
ma venire addirittura proclamati «vittime». Questa inversione delle
parti è stata reiterata senza pietà e senza scrupoli.
Già gli
ultimi governi hanno inaugurato l’ignobile formula «traffico di esseri
umani». Ignobile per due motivi. Anzitutto perché riduce il fenomeno
complesso della migrazione a un trasferimento coatto, come se i migranti
fossero esseri subumani, incapaci di intendere, quasi oggetti, pacchi.
Sennonché, anche in quei casi estremi in cui sono sottoposti al raggiro,
al ricatto, i migranti mantengono il margine di scelta – fosse pure
quello di chi rischia la morte nella certezza che non esistano altre vie
d’uscita. Ma quella formula è ignobile anche perché consente di eludere
ogni responsabilità addossandola a un paio di «scafisti», «negrieri»,
«trafficanti», unica vera causa della migrazione. Se ci sono, come
sempre, coloro che traggono profitto dalle disgrazie altrui, molti dei
cosiddetti «trafficanti» sono i migranti stessi, timonieri improvvisati
dei barconi, che poi finiscono in galera. Accusato di essere il
«capitano» del gommone, rovesciatosi in modo maldestro, era Abdullah
Kurdi, il padre del piccolo Alyan, il bambino la cui immagine ha
impietosito e indignato per un po’.
La gestione poliziesca dei
respingimenti, assurta nel frattempo a politica dei porti chiusi, può
essere dunque spacciata per «guerra ai trafficanti». L’ipocrisia giunge
al punto di ergersi a liberatori dei migranti, da un canto
criminalizzati, dall’altro considerati individui affetti da minorità.
Importante
è contenere la responsabilità entro i confini africani. Colpa loro, se
si sono mossi – ognuno, si sa, dovrebbe restare al suo posto; colpa
loro, se si sono affidati allo «scafista» di turno. Perché vengono a
chiedere aiuto? Soccorrerli? Non se ne parla. Se affondano, hanno quel
che si meritano. La cosa non ci riguarda. Noi non c’entriamo. Al crimine
dei «trafficanti», che li hanno portati (o «deportati» nel gergo
complottista), si associano le Ong, quei «taxi del mare» che soccorrono
impunemente.
Questo racconto, che inverte abilmente le parti, ha
anche il pregio di coprire la guerra non dichiarata ai migranti,
combattuta grazie al semplice potere biopolitico di lasciar morire. Così
si tenta di negare e cancellare a priori ogni colpa.
Tutto ciò è
agevolato dalla frantumazione della responsabilità che caratterizza il
mondo globalizzato. La serie di cause concatenanti si allunga e
impedisce di vedere gli effetti delle proprie azioni. Come non è lecito
usufruire a cuor leggero di beni a basso prezzo, costati lo sfruttamento
disumano, così non si può essere indifferenti alla vendita d’armi
compiuta più o meno sottobanco dalla propria nazione. I vantaggi di cui
si dispone qui sono all’origine del malessere, dell’agonia, della morte,
dall’altra parte del mondo. L’interdipendenza della società planetaria
richiederebbe semmai un sovrappiù di responsabilità.
Non vedere
non significa essere innocenti. Aver esternalizzato la violenza contro i
migranti, grazie all’accordo con la Libia, non scagiona i cittadini
italiani. Potranno dichiararsi inconsapevoli, ma sono già colpevoli. Un
velo di lutto, mestizia, malinconia, avvolge questo paese e si estende
ormai anche a chi alle vittime si rifiuta di pensare. Ci sarà una
Norimberga per queste stragi e i veri responsabili saranno chiamati
davanti al tribunale della storia.