il manifesto 18.1.19
Gli strafalcioni dell’accecante odio anticomunista
Le
"verità" sui comunisti e sul manifesto. Il tono di Veneziani è assunto
ormai da molti altri, compresi i ministri del governo del nostro paese, e
porta il timbro della cultura fascisteggiante
di Luciana Castellina
Ricordate
la famosa frase di Alfred Rosenberg, teorico hitleriano: «Quando vedo
un intellettuale tiro fuori la pistola»? Attaccare gli intellettuali è
una costante dei fascismi ed è allarmante che la pratica stia dilagando a
ritmi sempre più intensi, coinvolgendo nella valanga di calunnie e
strafalcioni storici persino moderati organi di stampa.
Il culmine
si è avuto ieri con La Verità – ma questo non meraviglia – che ha
pubblicato una isterica invettiva di Marcello Veneziani (di
intellettuali ce ne sono di tutti i tipi, naturalmente) in cui se la
prende con tutta la cultura italiana e francese, ma, con particolare
accanimento con il sessantotto e, segnatamente, con il manifesto.
SUI
TERMINI il Veneziani non fa sconti: fra i «criminali ideologici» e
«cani morti del comunismo» che non si sarebbero mossi per Jan Palach o,
se lo hanno fatto, è solo per amore di quell’altro criminale di Mao Tse
Tung, vengono annoverati: Moravia, Macciocchi, Collotti Pischel, Pisu,
Sanguineti, Fo, Jacoviello, Basaglia, Cavallari, Colombo (Furio e
Vittorino), Bellocchio, La Valle, Zaccagnini, Sartre, de Beauvoir,
Goddard, Althusser, Garaudy, più, naturalmente, l’intero manifesto, il
Movimento studentesco con Capanna e Michele Santoro.
L’occasione
dello sfogo è, per l’appunto, la commemorazione di Jan Palack che i
fascisti avrebbero il diritto di ricordare, in quanto notoriamente
paladini della libertà – gruppi nazirock e fascisti lo vogliono fare
domani a Verona con l’avallo di molte istituzioni pubbliche.
L’odio anticomunista è così accecante che fra chi avrebbe sostenuto
quelli che l’eroe cecoslovacco intendeva denunciare dandosi fuoco a
Praga, ci saremmo anche noi, che – come è superfluo ricordare perché fin
troppo noto – fummo radiati dal Pci proprio perché ritenevamo troppo
debole la condanna che dell’invasione dei carri armati sovietici era
stata pronunciata da quel partito.
Veneziani peraltro, come del
resto moti altri, dimentica che quei carri armati inviati da Mosca non
si erano mossi per rovesciare un governo di destra, ma il governo
comunista di Dubcek; e che il Partito comunista cecoslovacco (allora la
Cecoslovacchia era, anche per le leggi della Primavera 1968, paese
federato e unitario) fu vittima di quell’attacco e costretto a tenere un
congresso straordinario in clandestinità in una fabbrica in periferia,
protetto da picchetti di operai comunisti armati; e che le Tesi di quel
congresso proprio da il manifesto furono in seguito pubblicate.
E
CHE JAN PALACH, che amava definirsi «comunista luterano», vedeva la
«speranza» nel socialismo dal volto umano di Dubcek del quale era
sostenitore. È comunque sulla Cina che Veneziani soprattutto si dilunga
mostrando di non sapere nulla di quanto accadde in quel paese e di quali
furono le origini della rivoluzione culturale.
Se il Sessantotto
incluse Mao Tse Tung fra i suoi punti di riferimento è perché pur agli
apici del suo potere ebbe il coraggio di denunciare la burocratizzazione
crescente del regime, i privilegi che la «casta» andava accaparrando,
la distanza che si stava scavando fra le istituzioni e il popolo.
IL
SESSANTOTTO LO AMÒ perché aveva osato denunciare la pericolosa
involuzione del suo stesso partito e per aver incitato i militanti
comunisti a reagire prima che fosse troppo tardi, attaccando, fra
l’altro, alla porta del proprio comitato centrale, il famoso dazibao con
su scritto: «Bombardate il quartier generale», una indicazione
indispensabile anche fuori dalla Cina.
Mao fu sconfitto, e le cose
presero un altro corso, ciecamente sostenuto dai tanti gruppetti Ml
(marxisti-leninisti) che pullularono in quegli anni, tristemente
sostenuti dall’Ambasciata cinese in Italia che, da quando noi del
manifesto avanzammo critiche sul corso degli accadimenti in Cina, troncò
ogni contatto con noi.
Quanto alla destra, e alla sinistra ormai
burocratizzata, furono contente che i loro quartier generali si fossero
salvati per via della disgraziata degenerazione di quella rivoluzione.
L’ARTICOLO
DI VENEZIANI, e il tono assunto ormai da molti altri, innanzitutto dai
ministri del governo del nostro paese, porta il timbro della stessa
cultura fascisteggiante: odio bieco, insulti, calunnie nei confronti dei
comunisti e più in generale della sinistra e tanta, ma tanta ignoranza
fino all’oscurantismo.
Il tutto serve a occultare il fatto che
nonostante le roboanti dichiarazioni iniziali il potere vero, quello
responsabile della miseria crescente degli italiani, delle pensioni di
fame di tanti e della disperazione dei giovani senza lavoro, quel potere
economico, la vera élite, quella non intendono toccarla. A copertura ci
si inventa che responsabili di tutto sono i comunisti, e in primis, il
manifesto attuale nonché la sua storia! Per fortuna, ora – proclamano –
li abbiamo ammazzati: sono ormai solo «cani morti». Adesso, ne sono
certi, tutto andrà per il meglio. Auguri !