il manifesto 18.1.19
Democrazia rappresentativa malata, difenderla così com’è non ha senso
di Massimo Villone
La
riforma dell’articolo 71 della Costituzione introduce un’iniziativa
popolare rafforzata, legata a un referendum eventuale, nel caso di
inerzia delle camere o di approvazione di un testo diverso. In campo le
tifoserie della democrazia rappresentativa e di quella diretta.
Sappiamo
della diffidenza dei costituenti verso la democrazia diretta. Ma quello
era il tempo di assemblee elette con il proporzionale e popolate da
forti e radicati partiti di massa. Ciò non è più. In molti paesi,
inclusi quelli che ne hanno fatto la storia, la salute della democrazia
rappresentativa è precaria. È un paradosso volerla curare chiudendo la
porta al popolo sovrano. Se i rappresentanti non parlano o balbettano,
che tacciano anche i rappresentati.
Nella nostra esperienza
recente, la democrazia rappresentativa ha prodotto la truffa dei voucher
e la cancellazione dell’articolo 18. Ha reso irrilevante il milione e
passa di firme che la Cgil ha raccolto sulla carta dei diritti del
lavoro. Ha disatteso completamente il referendum sull’acqua pubblica,
pure stravinto. È probabile che la disponibilità di uno strumento quale
quello che si sta discutendo avrebbe prodotto o favorito – o potrebbe
domani favorire – un risultato diverso, quanto meno per il timore del
ceto politico parlamentare di un voto popolare di condanna senza
appello.
Rispetto al referendum propositivo, fa più danno alla
democrazia rappresentativa una cattiva legge elettorale che per il totem
della governabilità toglie voce a pezzi del paese e distorce la
rappresentatività, e imbottisce le assemblee di peones asserviti al
capo. Fa più danno lo sfascio dei partiti che ne erano la vera forza.
Ancor peggio, poi, i kit informativi di Casaleggio-Casalino.
La
proposta presentava difetti, esposti – anche da me – nelle audizioni
svolte in commissione, ora in parte corretti. La mancanza del quorum
strutturale è stata superata, prevedendo il voto favorevole del 25%
degli aventi diritto. Con gli ultimi emendamenti della relatrice un voto
sulla sola proposta dei promotori si sostituisce al barocco meccanismo
del ballottaggio tra testi. Con la legge di attuazione sarà possibile
evitare il referendum nel caso di modifiche puramente formali. Sono
novità da valutare positivamente. Forse si poteva andare oltre.
Due
domande: ha senso che l’iniziativa legislativa sostenuta da mezzo
milione di elettori incontri più limiti di quella sostenuta da 50mila, o
di quella dell’ultimo dei parlamentari? Ha senso che una legge votata
da quasi 13 milioni di elettori sia gravata da limiti maggiori di quelli
applicabili a qualunque legge approvata dal parlamento? Chi ha paura
del lupo cattivo?
Forse, sarebbe meglio assimilare il più
possibile l’iniziativa popolare rafforzata a ogni altra iniziativa, e la
legge eventualmente approvata a ogni altra legge. Magari con la
applicazione dei soli limiti testualmente desumibili dall’articolo 75
per il referendum abrogativo. La Corte costituzionale potrebbe essere
chiamata a svolgere un controllo generale di legittimità, su ricorso
diretto del governo o di un quorum di parlamentari, dopo l’eventuale
approvazione con voto popolare, con sospensiva della promulgazione e
dell’entrata in vigore fino alla sentenza.
Per qualche verso, la
proposta in campo è un’occasione perduta. Ad esempio, un’iniziativa
popolare rafforzata poteva essere la via per temperare i rischi
all’unità del paese che vengono dalla smodata fame di maggiore autonomia
del governatore Zaia. Se tutti gli italiani salvo i veneti volessero
correggere squilibri inaccettabili, non potrebbero farlo con questo
nuovo strumento. È comparso nel testo per l’aula un divieto esplicito
che non c’era nella proposta originaria. Una manina leghista?
Negli
ultimi giorni si è aperto un dibattito sulle élites. In rete circola un
manifesto, firmato da Piketty e altri, che vede uno snodo centrale di
crisi nelle crescenti diseguaglianze non tra paesi, ma all’interno dei
paesi. Sembra proprio il nostro caso. Pensiamo di poter affrontare il
problema con la democrazia rappresentativa che abbiamo, e che lo ha
generato? Dove sono le truppe per una inversione di rotta?
Nel
buon tempo antico la democrazia rappresentativa era tutto quel che
serviva. Ma il passato non ritorna. Di linfa nuova c’è bisogno, e non
viene certo da una esangue battaglia di ceto politico.