Il Fatto 18.1.19
Quel moderato buonsenso che servirebbe ai 5 Stelle
di Antonio Padellaro
Sere
fa, al termine della puntata di Otto e mezzo (post cattura di Cesare
Battisti), nella quale Alfonso Bonafede si era mostrato misurato e
istituzionale, come si deve al ministro di Giustizia, con lui abbiamo
condiviso la stessa idea sullo stile comunicativo dei Cinquestelle. Che,
più si fosse distinto da quello di Matteo Salvini e più ne avrebbe
guadagnato, in termini di serietà e forse anche di consenso.
Il
giorno dopo, purtroppo, il triste e deprimente video del Guardasigilli,
“celebrativo” dello sbarco a Ciampino dell’ex latitante pluriomicida ci
ha convinti una volta di più che, in assenza di un’opposizione, i
peggiori nemici dei grillini di show e di governo sono i grillini
medesimi. Specialisti nell’arte di spararsi sui piedi. Non soltanto per
le reazioni indignate che lo spot ha sollevato ma per una banale ragione
di propaganda elettorale. Ovvero: come vendere male un pessimo prodotto
al pubblico sbagliato. Un rapido passo indietro. Tutte le analisi sulla
composizione e natura del grande successo del 4 marzo concordano
sull’avvenuta saldatura nel M5S di due blocchi distinti. Al centro, il
cuore “militante” del consenso, quello generato nell’alveo social del
movimento poi consolidatosi attraverso i Vaffa day nelle battaglie
contro la casta e a favore della legalità e i beni comuni. Intanto,
intorno a questo nucleo cresceva la massa dei nuovi arrivati,
provenienti da ogni dove ma soprattutto dal Pd. Coloro che potremmo
definire con antica terminologia: il voto d’opinione. Nella maggior
parte dei casi si tratta di persone che non hanno mai frequentato la
piattaforma Rousseau, che hanno apprezzato l’esplosività di Beppe Grillo
nel mettere alla berlina l’ancien régime anche se non capiscono granché
di certe sue “elevate” elucubrazioni. Gente che si era stufata delle
solite facce e dell’arroganza della cosiddetta vecchia politica,
incuriositi dall’irrompere della generazione pentastellata, e dalla
sfacciata trasparenza con la quale i nuovi si mostravano al popolo,
perfino nell’esibire acerbe inesperienze. Ora, quando Bonafede divulga
quei video, quando Di Maio annuncia la fine della povertà o che, in
piena stagnazione, siamo alla vigilia di un altro boom digitale, oppure
quando on the road verso Strasburgo, con Di Battista accanto, il
vicepremier definisce il Parlamento europeo “una marchetta francese che
dobbiamo chiudere il prima possibile”, più di una domande sorge
spontanea. Quel linguaggio così crudo, minaccioso (a volte truculento) a
chi è rivolto? Chi intendono convincere? Il popolo dei Vaffa day? Non
avrebbe molto senso visto che la base grillina è già ampiamente motivata
di suo per abboccare a forme discutibili di autopropaganda. E se anche
fosse un tentativo di corteggiare gli elettori di Matteo Salvini, chi
mai preferirebbe la (brutta) copia all’originale? Restano quegli
svariati milioni di elettori approdati al M5S da lontano, forse non
molto politicizzati ma che al posto dei megafoni stentorei gradirebbero
un messaggio di concretezza, di moderato buon senso, di stabilità. Tanto
per capirci, il linguaggio che sta dando popolarità al premier Giuseppe
Conte.
In questa ancora vasta “opinione”, ci creda ministro
Bonafede, i filmini Luce creano soprattutto imbarazzo. Così come la
comunicazione mirabolante o sotto vuoto spinto. Bisognerebbe convincersi
una buona volta che gli elettori con l’anello al naso non esistono.
Mentre se si sentono presi per il naso magari da lezioncine
prefabbricate recitate a menadito da giovani promesse del cambiamento
(c’è anche un kit 5S per indottrinare i parlamentari), prima o poi
quelli salutano e se ne vanno.