martedì 15 gennaio 2019

il manifesto 15.1.19
Sul confine invisibile tra le due Irlande si agitano i fantasmi
Brexit. Un ritorno alla frontiera sarebbe un enorme colpo anche all’economia di entrambi i paesi, oltre a riproporre lo spettro degli attentati
di Enrico Terrinoni


Il confine odierno tra le due Irlande, divenuto un tema assai caldo se non la questione cruciale nel dibattito in corso su Brexit, risale alla divisione dell’isola a seguito del trattato di pace del 1921 che pose fine alla guerra d’indipendenza o guerra anglo-irlandese, che dir si voglia. Da allora, su questa linea frastagliata che separa il Nord dal Sud – ma anche l’Ulster britannico da quello irlandese – corre una tensione politico-sociale difficile da controllare.
Durante i Troubles, ossia nel periodo dell’intensificazione del conflitto nordirlandese a fine anni sessanta, la frontiera, con le sue postazioni militari e i suoi check-point, era oggetto di continui attacchi da parte dell’Ira. Già prima, tra il 1956 e il 1962, l’Ira aveva condotto lì la famosa border campaign, con attacchi volti proprio a smantellare ogni idea di confine tra le due parti dell’isola. Gli attentati si intensificarono anche alla fine di quella campagna, e uno dei più simbolici avvenne nel dicembre del 1989 a Derryard, nella contea di Fermanagh.
Il ricordo di tali eventi di sangue ha supportato di recente, durante una cena ufficiale, l’argomentazione del premier irlandese Varadkar atta a promuovere l’accordo tra Unione Europea e Regno Unito, quando ha mostrato ai colleghi negoziatori una foto dell’attentato del 1972 alla dogana di Newry, che causò la morte di quattro agenti doganali, di due camionisti e di tre volontari dell’Ira.
Il cosiddetto “confine invisibile”, oggi riconoscibile da chiunque lo valichi soltanto grazie alla differenza tra i cartelli stradali – bilingui quelli della Repubblica, solo in inglese quelli del Nord – non è per i repubblicani soltanto un simbolo dell’occupazione britannica, ma è anche una fascia di territorio difficilissima da controllare.
Le mappe geografiche parlano di più di duecento stradine secondarie che attraversano il confine. Sono le cosiddette unapproved roads, ossia quei sentieri che durante gli anni più bui venivano chiusi da filo spinato per evitare che merci, ma soprattutto persone ritenute pericolose passassero incontrastate.
Computi di diverso tipo, tuttavia, parlano di quasi trecento passaggi, al di là delle strade maestre, mentre calcoli operati sulla base dello studio delle cellule telefoniche ci raccontano di più di cento milioni di attraversamenti di persone l’anno. Questo proprio grazie all’assenza di un vero e proprio confine, che ha chiaramente incoraggiato di recente gli scambi commerciali e migliorato la qualità di vita di migliaia di persone.
Un ritorno alla frontiera sarebbe dunque un enorme colpo anche all’economia di entrambi i paesi, oltre a riproporre lo spettro di attentati lungo la linea di confine come quello di Warrenpoint del 1979 in cui persero la vita diciotto soldati inglesi. Quest’ultima località è emblematica di un altro problema, perché trovandosi su un braccio di mare che divide la Repubblica dal Nord, è un esempio di confine liquido; e non è il solo nell’isola.
Pensare di poter controllare, oltre a tutte le stradine di campagna, anche i passaggi via acqua, non è soltanto impensabile, ma comporterebbe un dispiego di forze, risorse e uomini che né l’Irlanda né il Regno Unito sono oggi pronti o preparati a sostenere.