Il Fatto 15.1.19
Pelosi vs AOC: la sfida nei Dem
La speaker e
la ribelle. La leader del Congresso contro l’icona del socialismo made
in Usa. Due volti per due politiche alternative
Pelosi vs AOC: la sfida nei Dem
di Salvatore Cannavò
\
Due
leader. Una anziana borghese, ancora in forma e capace di manovrare il
potere. L’altra giovane, spumeggiante, nata nella working class come ama
dire di sé e che deve farsi ancora le ossa.
Nancy Pelosi, appena
eletta presidente del Congresso Usa, bestia nera di Donald Trump nella
dura trattativa sul budget che ha portato allo shutdown: 1,94 milioni di
follower su Twitter. Alexandra Ocasio-Ortez, (AOC) 29enne di origine
portoricana che rappresenta il nuovo socialismo americano: 2,38 milioni
di follower. I social dicono molto della forza simbolica di queste
figure che rappresentano due possibili strade per i democratici, con le
corporation e quindi l’establishment dalla parte della prima, e la
moltitudine di americani che sperano nel futuro con la seconda.
Il
costume e il colore descrivono i fatti molto meglio delle analisi
politiche. E così Nancy Pelosi ha guadagnato articoli e spazio su media e
social grazie a un cappotto rosso. Uscendo da un incontro con Trump,
infatti, la presidente del Congresso indossava una cappotto di Max Mara
che le è valso una valanga di complimenti fino a descriverla come un
“simbolo elegante di rivolta” secondo Vanessa Friedman sul New York
Times. E il successo è stato così ampio che Max Mara, che nel 2013 aveva
smesso di distribuire il modello Glamis, ha annunciato che lo riporterà
nei negozi il prossimo anno.
La scena offerta da Alexandra
Ocasio-Ortez è un po’ più movimentata. Per replicare ai Repubblicani che
hanno diffuso un video di lei studente universitaria, che ballava sui
tetti dell’università, con il chiaro obiettivo di infangarla, la giovane
newyorchese non solo ha rivendicato il diritto a ballare, ma poi si è
fatta filmare nei pomposi locali del Congresso americano mentre
replicava quei passi di danza. Entrambi i video sono divenuti virali
tanto che la scena si è ripetuta nel corso dell’incontro con il
reverendo Al Sharpton, attivista dei diritti sociali, ministro battista e
già consigliere di Barack Obama. Il cappotto borghese contro la danza
ribelle, si potrebbe riassumere.
Appena eletta alla Camera dei
Rappresentanti, in realtà, AOC ha subito annunciato di sostenere la
presidenza di Nancy Pelosi votando per lei nonostante una fronda di
circa 20 deputati all’interno del gruppo democratico. Ma lo scontro tra
le due è decollato quando si è trattato di approvare il pacchetto di
misure economiche e sociali approntato dalla Pelosi per affrontare la
trattativa con Trump sul budget.
Ocasio-Ortez si è schierata
contro per il tasso di austerity che quel provvedimento conteneva,
lanciando una serie di proposte esplosive. La tassazione al 70% dei
redditi sopra i 10 milioni di dollari, i super-ricchi, quelli presi di
mira da Occupay Wall Street quando invocava politiche per il 99% contro
l’1% della popolazione. E poi l’investimento in un New Green Deal, un
massiccio piano di investimenti pubblici ad alto tasso ecologico a
partire dalla scomparsa del carbon fossile in 10 anni.
Ha anche
proposto ai Democratici di creare un comitato ad hoc alla Camera, ma la
sua iniziativa è stata fatta fuori bruscamente proprio da Pelosi che le
ha preferito un più soft Comitato sulla Crisi climatica il cui compito è
stato limitato a delle raccomandazioni sul cambiamento climatico.
A
capo del Comitato, Pelosi ha piazzato Kathy Castor, deputata della
Florida, che ha subito inviato le più ampie rassicurazioni all’industria
del carbon fossile. Niente a che vedere con le proposte “scandalose” di
AOC che, in tempi di shutdown, ipotizzano che i congressisti
congelassero il proprio stipendio esattamente al pari dei dipendenti
pubblici. “Chiamatemi pure estremista. Anche Lincoln e Roosevelt lo
erano” dice AOC: “Lo sono state tutte le grandi figure storiche che
hanno generato enormi cambiamenti: dall’abolizione della schiavitù al
New Deal”
La coerenza, del resto, ha fatto la forza finora della
giovane deputata che ha battuto alle primarie newyorchesi l’ala liberale
(e non liberal, nel senso statunitense) del partito democratico. Lei
preferisce ancora essere aderente all’immagine offerta nel video della
sua campagna elettorale, prodotto dalla Means of production (Mezzi di
produzione, un rimando a Marx) e che la vede immersa nella realtà della
working class, cambiarsi le scarpe mentre va al lavoro, credere che un
futuro “per i molti” sia possibile, stare in mezzo alla sua gente. Il
volto ideale per tirare la volata al candidato socialista Bernie Sanders
contro la leadership dal cappotto rosso. O, chissà, per essere proprio
lei a correre per la presidenza.