il manifesto 15.1.19
Nuova dottrina Trump: la guerra all’Iran per procura
Tutti
contro Teheran. Ora Trump vorrebbe ritirarsi dalla Siria per affidarsi
al gendarme israeliano e sperando che siano altri, come l’Arabia
Saudita, a pagare il conto
di Alberto Negri
Mentre
gli Usa preparano un ritiro sempre più caotico e confuso dalla Siria e
Trump scambia tweet al fulmicotone con Ankara sul destino dei curdi –
«devasteremo l’economia turca», «creeremo una zona di sicurezza per
proteggerli» (come non si sa) – Pompeo in un discorso al Cairo ha
affermato che «il vero nemico in Medio Oriente è l’Iran».
L’UNIONE
EUROPEA assiste a queste schermaglie muta come una tomba per non
irritare troppo Erdogan, custode, ben pagato, di tre milioni di
rifugiati siriani. E lui il nostro Muro orientale mentre Israele
costruisce il suo, di concreto cemento, sulla Blue Line in Libano che si
aggiunge a quello in Cisgiordania. A combattere questa guerra contro
Teheran e i suoi alleati siriani e Hezbollah non sarà infatti
direttamente Washington: ci pensa Israele, il gendarme Usa della
regione, con i soldi dei sauditi e tanti saluti ai diritti umani.
Per
la prima volta il premier Netanyahu ha rivendicato i raid sulla Siria e
sempre per la prima volta i sauditi hanno criticato Trump per lasciare
spazio a Iran e Russia. Secondo il capo di stato maggiore israeliano
uscente, Gadi Eizenkot, Israele solo nel 2018 ha riversato in Siria più
di 2mila tra bombe e razzi sui pasdaran iraniani e le milizie sciite. Lo
ha fatto anche tra venerdì e sabato colpendo vicino all’aereoporto di
Damasco: «Abbiamo la totale superiorità aerea e dell’intelligence, ha
detto il generale al New York Times.
Dopo avere distrutto l’Iraq
di Saddam nel 2003 e contribuito ad affondare la Libia di Ghedddafi e la
Siria, a destabilizzare l’intero Medio Oriente e il Mediterraneo, a
bombardare insieme ai sauditi i civili in Yemen, lavandosi ora
velocemente le mani sporche di sangue, il segretario di Stato Usa
Pompeo, in visita ieri a Riyadh, dice che il nemico è l’Iran.
Ma
agli Stati uniti che dovremmo fare per avere provocato in questo ultimo
decennio centinaia di migliaia di morti e qualche dozzina di milioni di
profughi? In Siria, proprio grazie all’Iran, alleato di Assad, agli
Hezbollah libanesi e, soprattutto, all’intervento della Russia di Putin,
agli Stati uniti non è riuscito l’ennesimo disastroso cambio di regime
che come quelli precedenti in Iraq e in Libia – qui con l’attivismo
decisivo della Francia e della Gran Bretagna – hanno sprofondato nel
marasma un’intera regione e aperto il vaso di Pandora a migrazioni
incontrollabili.
Agli Usa ogni tanto bisogna rinfrescare la
memoria soprattutto quando si scagliano contro Teheran – pronta a
riprendere l’arricchimento dell’uranio al 20% – con cui Obama aveva
firmato nel 2015 un trattato che Trump ha stracciato imponendo nuove
sanzioni.
Se l’Iran sciita è divenjtato in Iraq un paese chiave
questo è stato dovuto proprio all’iniziativa di Bush junior di far fuori
il sunnita Saddam Hussein. E meno male che dopo il ritiro americano
dall’Iraq del 2011 deciso da Obama, erano rimaste sul terreno le
formazioni iraniane dei pasdaran comandate dal generale Qassem
Soleimani: quando nel giugno 2014 l’Isis di Al Baghdadi ha conquistato
Mosul l’esercitò iracheno sbandò completamente e furono gli iraniani con
le milizie sciite a impedire che il Califfato arrivasse alle porte di
Baghdad mentre l’America non muoveva un dito.
QUESTA È LA CRONACA
DEI FATTI. Pompeo non ha neppure citato il caso di Jamal Khashoggi, il
giornalista saudita ammazzato a Istanbul su ordine dall’erede al trono
di Riad Mohammed bin Salman, a conferma del sostegno al regno wahabita,
il più retrogrado e conservatore del Medio Oriente, e del fatto che
democrazia e diritti umani non sono più discriminanti, anche se solo in
apparenza, della politica americana.
Se c’è uno stato contro il
quale puntare il dito per avere favorito l’estremismo e la
destabilizzazione quello è proprio l’Arabia saudita che sta facendo di
tutto per distruggere anche lo Yemen. E proprio lì, a Riyadh, che
Juventus e Milan andranno a giocare domani la finale di Supercoppa, è a
questa monarchia assoluta che arrivano le bombe che massacrano i civili
yemeniti fabbricate in sardegna dalla tedesca Rvm.
Così, in questo
groviglio di contraddizioni americane e occidentali, Washington punta
tutto sull’isolamento dell’Iran, avversario dei sauditi e di Israele
incolpando Teheran dei disastri americani in Medio Oriente. L’ossessione
anti-iraniana è tale che Pompeo ha annunciato per febbraio un vertice
in Polonia centrato sulla minaccia rappresenta da Teheran. L’Unione
europea intanto non è ancora riuscita a varare un meccanismo per
aggirare le nuove sanzioni Usa contro Teheran che costeranno a un paese
come l’Italia 1,7 miliardi di euro di esportazioni l’anno. In poche
parole anche noi paghiamo di tasca nostra le scelte Usa.
Non che
il regime della repubblica islamica sia diretto da mammolette ma gli
iraniani sono stati abbastanza astuti da sfruttare gli errori degli
Stati uniti che in questa regione di guerre non ne hanno vinta neppure
una, a partire dall’Afghanistan che dopo l’11 settembre 2001 e gli
attentati di al Qaeda a New York e Washington è diventato il più lungo
conflitto dell’intera storia dell’America. A proposito: Osama bin Laden
era saudita e pure alleato degli americani quando c’era da fare la
guerra negli anni Ottanta contro l’Armata rossa in Afghanistan.
DEGLI AMICI DEGLI STATI UNITI forse c’è da fidarsi ancora meno che dei loro nemici.
Trump
se ne vuole andare dalla Siria e dall’Afghanistan, dove intende ridurre
di metà le truppe, perché sono guerre perse ma lasciando il campo apre
al nuovo conflitto contro l’Iran. Per la verità gli Stati uniti
mantengono truppe in Iraq e Qatar, la Sesta flotta in Barhein, le basi
Nato in Turchia e continuano a controllare i flussi energetici della
regione. Ma adesso la nuova dottrina americana è affidarsi al gendarme
israeliano sperando che siano altri come l’Arabia Saudita a pagare le
loro future guerre per procura. Abboccheremo all’amo della propaganda
Usa anche questa volta?