il manifesto 15.1.19
Quell’elenco insensato delle ruberie ai danni dei cittadini ebrei
Shoah. Il nuovo libro di Fabio Isman, edito da il Mulino, sull'Italia razzista
di Lia Tagliacozzo
Prende
le mosse dal 1998 il libro di Fabio Isman che pure racconta del 1938,
l’Italia razzista (Il Mulino, pp.275, euro 22). Lo scorso anno si sono
ricordati gli ottant’anni dalla promulgazione di quella legislazione
antiebraica il cui processo di rimozione dall’ordinamento repubblicano è
stato lungo e tormentato e si è concluso – sorprendentemente – solo
alla fine del secolo scorso. E fu, appunto, nel 1998 che una commissione
governativa ebbe l’incarico di indagare su «l’acquisizione dei beni dei
cittadini ebrei da parte di organismi pubblici e privati».
Presieduta
da Tina Anselmi la commissione lavorò tre anni e produsse i due corposi
volumi da cui Isman snoda il filo centrale del suo racconto. Nel 1938
viene istituito un ente apposito «per la gestione e liquidazione
immobiliare», l’Egeli, che chiuderà nel 1997. Ma che il processo
abrogativo abbia avuto vie per alcuni aspetti surreali è testimoniato
dalla legge 2139 del 1939 che vietava agli ebrei di «allevare piccioni
viaggiatori» e che viene cancellata nel 2008.
È INFATTI NEGLI
ANGOLI più riposti della documentazione pubblica e della memoria
condivisa che è finita una delle pagine meno analizzate della
persecuzione antiebraica: quella della spoliazione dei beni in cui il
fascismo si mosse in assoluta autonomia dall’alleato nazista. Anche per
la «seconda fase» – quella successiva all’8 settembre del 1943 – la
Repubblica sociale si muove autonoma e parallela ai tedeschi nei
sequestri e nelle confische.
Il volume di Isman – con prefazione
della senatrice Liliana Segre, ex deportata ad Auschwitz e sopravvissuta
della Shoah – descrive «una Italia razzista» ed emerge l’assurdo: la
cacciata di professori e studenti ebrei dagli atenei e dalle scuole di
ogni ordine e grado accanto alla revoca delle licenze ai venditori
ambulanti. Desolanti i verbali di sequestro – redatti spesso in forma
approssimativa e che lasciavano ampio spazio a ruberie – grandi
patrimoni oppure «due paia di calze usate, una bandiera nazionale, un
enteroclisma, 3 mutandine usate sporche, 1 bidè».
UN CALENDARIO
insensato in cui le date delle ruberie legalizzate sono successive alla
sparizione dei proprietari oramai in fuga, nascosti, o già catturati,
deportati, a volte già uccisi nei campi di sterminio. Ma la burocrazia
non si ferma: «Per Egeli – scrive Isman – il costo di queste pratiche
era nettamente superiore alla loro consistenza (…) perfino i fogli di
carta bollata degli atti che, da soli, superavano talora l’entità dei
beni confiscati». E riporta le osservazioni della commissione Aselmi:
«Denari, gioielli, beni di fortuna in generale non furono più la misura
di un tenore di vita, ma il confine stesso tra la vita e la morte».
Isman
racconta destini, in alcuni casi riesce a ricostruire storie di
famiglia fino al dopoguerra: dà conto delle peripezie, dei lutti, della
richiesta di essere riammessi al lavoro, dei processi per ottenere la
restituzione del maltolto. Dalle carte però emerge un nodo ancora tutto
da indagare non solo nelle carte della burocrazia ma nella politica,
nella cultura, nel sentire diffuso: quello di una sostanziale
indifferenza dell’Italia democratica verso i misfatti dell’Italia
fascista. E non solo verso i cittadini ebrei allora estromessi,
allontanati, condotti sul baratro delle deportazioni. Una noncuranza
motivata, forse, dalla fretta di lasciarsi alle spalle lutti e tragedie.
Una freddezza le cui ombre si allungano fino al presente di altri
emarginati.
LA PRESENTAZIONE del libro 1938, l’Italia razzista si
terrà al Museo nazionale dell’ebraismo italiano e della Shoah – Meishop
(via Piangipane 81, Ferrara) il prossimo 22 gennaio, alle ore 16, mentre
nella stessa mattinata (ore 10) verrà proposto il volume Piccola
autobiografia di mio padre (Giuntina), in cui l’autore Daniel Vogelmann
parla del suo genitore, quello Schulim che fu il falsario di Schindler.