Il Fatto 1.15.19
Nel ghetto la Storia la scrivono i vinti
La vicenda vera di un gruppo di studiosi di Varsavia che cercò di contrastare la supremazia della memoria nazista
Nel 1999 l’Unesco ha incluso l’archivio “Oyneg Shabes” (nome della compagnia dei 60 studiosi) nella “Memoria del Mondo”
di Federico Pontiggia
“Saranno
i tedeschi a scrivere la nostra storia, o saremo noi ebrei?”. Lo
studioso Samuel D. Kassow ha disseppellito la risposta e l’ha affidata a
un libro, Chi scriverà la nostra Storia? L’archivio ritrovato nel
ghetto di Varsavia (Mondadori), che poi è diventato il docufilm Chi
scriverà la nostra Storia (Who Will Write Our History).
Sceneggiato
e diretto da Roberta Grossman, prodotto dalla sorella di Steven
Spielberg, Nancy, con Kassow consulente scientifico, è stato presentato
in anteprima al San Francisco Jewish Film Festival lo scorso luglio,
quindi è meritoriamente ma nascostamente transitato alla Festa di Roma e
il 27 gennaio arriverà in sala con Wanted e Feltrinelli Real Cinema per
la Giornata della Memoria. Non dovete perderlo, ha una qualità
cinematografica importante, un valore storico preminente, un lascito
esistenziale incommensurabile.
Narrato da Adrien Brody e Joan
Allen, propala una, forse la, storia non raccontata della Shoah: quando
nel novembre del 1940 i nazisti rinchiudono oltre 450mila ebrei nel
ghetto di Varsavia, c’è chi s’oppone, non con le armi bensì con carta e
penna. Perché se è vero che la storia la scrivono i vincitori, si può
accostarne un’altra, che non si consegni alla prospettiva dei vinti: “I
tedeschi mandano troupe cinematografiche nel ghetto – dice Kassow nel
film – per mostrare quanto siamo sporchi e disgustosi. Stanno dicendo al
mondo che siamo la feccia della terra, e a meno che non assembliamo la
nostra documentazione i posteri ci ricorderanno sulla base delle fonti
tedesche e non di quelle ebraiche”.
Denominata Oyneg Shabes, “La
gioia del Sabato” in yiddish, una compagnia segreta guidata dallo
storico Emanuel Ringelblum e formata da sessanta tra ricercatori e
giornalisti, rabbini e sionisti cerca di contrastare la supremazia della
memoria nazista, raccogliendo decine di migliaia di documenti e
artefatti, diari, interviste e ritratti per dare contezza della vita e
della morte nel ghetto. E non solo, basti pensare ai primi report dello
sterminio provenienti da Chelmo e fatti rimbalzare sulle onde corte
della Bbc Radio. Un’impresa rischiosa e vieppiù coraggiosa, nata quale
forma di resistenza non convenzionale e cresciuta, quando i destini
personali volgono al termine, quale trasmissione di sapere, non dei
filosofi e dei rabbini ma della gente comune, secondo le coordinate
apprese dal sionista di sinistra Ringelblum all’Istituto per la Ricerca
Ebraica.
Dei sessanta della Oyneg Shabes, con proporzioni
estendibili all’intero ghetto dato alle fiamme nel ‘43, non
sopravvivranno che tre membri, di cui solo uno, Hersch Wasser, conosce
la localizzazione dell’archivio. Assistito da un’altra compagna, Rachel
Auerbach, Wasser porta all’individuazione di scatole metalliche
seppellite sotto una scuola: è il settembre del 1946. Nel dicembre del
’50 alcuni muratori porteranno casualmente alla luce una seconda
porzione del “tesoro”, custodita in due contenitori d’alluminio per il
latte.
Regista solida ed esperta, la Grossman lega estratti degli
archivi e interviste inedite, raro materiale di repertorio e
drammatizzazioni storicamente accurate e ben recitate. Brividi e occhi
lucidi accompagnano ineludibilmente la visione, che nel ghetto ritrova
un bivio atroce – “Che cosa significa passare davanti a persone che
muoiono per strada. Per alcuni mostra quanto siamo diventati
insensibili, altri hanno detto di no, invece. Mostra quanto siamo
diventati forti” – e un “tragico dilemma: dobbiamo servire la zuppa col
contagocce a tutti? O dobbiamo darne una porzione intera ad alcuni così
che pochi abbiano abbastanza per sopravvivere?”. Scriveva la Auerbach,
che vi fu addetta, “le mense pubbliche ebraiche non hanno mai salvato
nessuno dalla fame”, tra impotenza diffusa e crepuscolo degli uomini ci
si chiede solo se “morirà prima la mia o la tua famiglia” e a quel punto
“si può parlare di etica?”. Chi scriverà la nostra Storia non elude
nulla, nemmeno i membri della polizia ebraica che si trasformavano “in
segugi per salvare la pelle” e, prima di finire nell’omissis
post-bellico, facevano interrogare su “chi ha cresciuto queste mele
marce tra noi?”, ma non abdica alla speranza: è “il trionfo dell’umano
sull’inumano” di Ringelblum e soci, “ché la nostra volontà di vivere è
più forte della volontà di distruggere”.
Nel 1999 il programma
Memoria del Mondo dell’Unesco ha incluso tre collezioni polacche: le
composizioni di Frédéric Chopin, i lavori scientifici di Copernico, e
l’archivio Oyneg Shabes.