il manifesto 13.1.19
Foucault regola i suoi conti con Marx
Lezioni. Con «Teorie e istituzioni penali», Feltrinelli completa i corsi tenuti al Collège dal filosofo francese
di Pierpaolo Ascari
Nel
tardo pomeriggio di un mercoledì di marzo, pochi mesi prima di morire,
Michel Foucault si congedò dall’aula in cui aveva appena pronunciato la
sua ultima lezione dicendo: «Ascoltate, avevo delle cose da aggiungere
sul quadro generale di queste analisi, ma insomma, è troppo tardi». Sono
le parole con cui termina Il coraggio della verità e si conclude una
vita, ma che in qualche modo potrebbero tornare a farsi sentire ancora
oggi con l’uscita di Teorie e istituzioni penali (a cura di Deborah
Borca e Pier Aldo Rovatti, pp. 352, euro 35.00) che venti anni dopo la
traduzione di Bisogna difendere la società completa l’edizione
Feltrinelli dei corsi tenuti da Foucault al Collège de France.
Ora
che un bilancio è possibile, capiamo come al lettore di quei corsi
venisse data l’opportunità non solo di approfondire la conoscenza di
alcuni concetti o della loro incubazione, ma di entrare direttamente in
contatto con qualcosa di molto simile alla prossemica di un pensiero in
azione, ai gesti che gli consentivano di orientarsi nello spessore
antropologico del presente. Le pagine di Teorie e istituzioni penali
meritano comunque un’attenzione specifica.
I Piedi scalzi repressi
Siamo
nel 1971, Sorvegliare e punire, che di quelle lezioni avrebbe tenuto
ampiamente conto nella parte conclusiva, è in cantiere, e Foucault si
ritrova impegnato nel lavoro militante del Gruppo di informazione sulle
prigioni: la sua risposta alla repressione del Sessantotto. Non a caso,
il corso di quell’anno lo avrebbe dedicato allo studio di un’altra
repressione, quella voluta da Richelieu nei confronti dei Piedi scalzi,
il movimento che nel 1639 era insorto contro l’inasprimento della
pressione fiscale in Normandia, quando la grande aristocrazia feudale
non fu più in grado di assicurare il controllo del territorio e il re
spedì l’esercito a combattere la popolazione, come fosse un nemico
esterno. Mentre si assisteva all’esecuzione sommaria di contadini e
pezzenti, all’allestimento dei patiboli, ai cadaveri che rimanevano
appesi per settimane ai portici delle case, lo spettacolo della guerra
cominciava tuttavia ad approfondire le linee di faglia che separavano le
varie parti del corpo sociale, dando alla borghesia cittadina
l’opportunità di aderire spontaneamente alla resa.
Foucault
sottolinea a più riprese questa prospettiva, rendendo plausibile il
sospetto che stesse già anticipando la definizione di un potere il cui
scopo non si limita al reprimere, bensì fissa al tempo stesso una norma,
in quanto forma più desiderabile e dunque naturale di assoggettamento.
La regola degli effetti laterali, in altre parole, cioè il fatto che la
pena debba produrre conseguenze più decisive proprio presso coloro che
non hanno commesso l’errore, potrebbe rappresentare il modo in cui
Sorvegliare e punire ci consente di articolare il passaggio dal potere
che in Teorie e istituzioni penali ancora reprime, alla dimensione
produttiva e disciplinare dei corsi sul potere psichiatrico (1973-1974) e
su quegli individui che vennero definìti gli «anormali» (1974-1975).
Con
la sedizione dei Piedi scalzi, in ogni caso, apparve evidente qual era
il mandato che le forme prestatali di repressione stavano per passare in
consegna alle nuove tecnologie di controllo e al disciplinamento della
popolazione. L’esercito sarebbe rimasto alle porte di Rouen, infatti,
dove la giustizia civile intervenne solo nei primi giorni del 1640,
creando l’intervallo necessario alla borghesia per ambientarsi nello
spazio politico compreso tra il declino del feudalesimo e l’emergenza
delle classi sediziose. Ma mantenere i soldati nelle campagne costava
caro, oltre a indebolire i confini, e così le funzioni della guerra
interna sarebbero state presto trasferite nell’armamento di una nuova
milizia, la polizia, della quale Teorie e istituzioni penali stabilisce
la dinastica.
La polizia – dice Foucault – non è tanto una
risposta alla delinquenza o un’emanazione diretta della struttura
economica, quanto una soluzione militare al problema delle lotte al
potere. E sarà sullo stesso terreno presidiato dalla polizia che, in
nome della prevenzione, potranno finalmente fiorire tutti i saperi di
ordine psicologico, statistico, sanitario e pedagogico che si attivano
nella storia dei condizionamenti reciproci tra l’accumulazione degli
uomini e l’accumulazione dei capitali. Teorie e istituzioni penali è
anche il primo atto di un «grande regolamento dei conti con il
marxismo», come lo definisce Étienne Balibar in appendice al volume, che
attraverso il confronto con Althusser e una rilettura nietzscheana di
Marx, assegna alla morfologia del potere un ruolo creativo nello
sviluppo del modo di produzione.
Le forme del potere
Al
lettore potrà far comodo tenere a portata di mano l’indicazione data
dallo stesso Foucault nel corso di un’intervista del 1975 al Magazine
littéraire, dove a proposito delle critiche marxiste a Sorvegliare e
punire dichiara: «Io cito Marx senza dirlo, senza mettere le virgolette,
e siccome loro non sono capaci di riconoscere i testi di Marx, passo
per quello che non lo cita. Ma per caso quando un fisico fa della
fisica, sente il bisogno di citare Newton o Einstein?» Proprio come
segnalava Marx al termine del primo libro del Capitale, allora, sarà
opportuno considerare che anche la creatività del potere descritta in
Teorie e istituzioni penali può assumere di volta in volta le forme più
diverse, spaziando dalla messa a morte dei Piedi scalzi fino agli
effetti laterali della guerra tuttora in atto contro chi non ha un
tetto, contro chi sciopera, contro i migranti e i loro figli.