il manifesto 12.1.19
L’inquietante ritorno al futuro della nuova destra radicale
Indagini.
«Neofascismi» di Claudio Vercelli per le Edizioni del Capricorno. Tra
indagine storica e attualità politica. Simboli, linguaggi, «stile» dalla
Rsi al Casa Pound. Già strumento della «maggioranza silenziosa»,
l’arcipelago nero lancia ora la sfida per rappresentare le vittime della
crisi
di Guido Caldiron
È una sfida tutta
attuale quella che Claudio Vercelli delinea in Neofascismi (Edizioni del
Capricorno, pp. 188, euro 16,00), una storia della destra radicale
italiana che dall’epilogo sanguinoso della Rsi conduce fino all’odierna
«emergenza» di Casa Pound. Un libro che Vercelli, docente presso
l’Università Cattolica di Milano, autore di opere significative sulla
nascita di Israele e sul negazionismo, ha costruito con il rigore
dell’indagine storica, attingendo ad un’ampia e articolata
documentazione, ma dal quale traspare la volontà di intervenire sul tema
con un linguaggio e uno stile agili, rispondendo con ciò implicitamente
anche ad «un’urgenza» di carattere civile.
A TRACCIARE LA ROTTA
della ricerca è infatti la consapevolezza, espressa chiaramente
dall’autore, che in gioco nel nostro paese oggi non vi sia tanto il
«ritorno del passato», «essendo il regime mussoliniano un’esperienza
unica, destinata a non ripetersi», quanto piuttosto «la capacità dei
movimenti e dei temi neofascisti di diventare parte della discussione
pubblica, dell’agenda politica, magari rivestendo panni di apparente
rispettabilità».
A riprova dell’estrema e inquietante attualità
del tema, l’intera vicenda storica della destra radicale del secondo
dopoguerra, viene letta come una sorta di «reciproco inverso» rispetto a
quella della repubblica nata dalla Resistenza. Fino ad indicare come il
«fascismo dopo il fascismo» abbia costruito le ragioni della sua
costante presenza nel panorama politico nazionale modellandosi in
qualche modo lungo le linee di crisi e le fratture conosciute dalla
nostra società. Si tratta ovviamente, per questa via, di ricostruire
innanzitutto le ragioni di questa «permanenza» dopo la sconfitta
fascista del 1945. Vercelli ne indica prioritariamente tre.
PRIMA
DI TUTTO, la considerazione che «come mentalità diffusa, presente in
diversi strati della popolazione», il fascismo non si potesse esaurire
con la fine del Ventennio o la caduta di Salò. Quindi, il tema
della[INIZIO] «continuità dello Stato», vale a dire la determinazione di
«quello stesso circuito di soggetti che vent’anni prima aveva permesso
l’accesso dei fascisti al potere», ad identificare nella destra radicale
un possibile argine contro la presenza comunista, nell’ambito del nuovo
scenario che aveva visto emergere la contrapposizione tra Est e Ovest.
Da qui consegue come «nel secondo dopoguerra l’epurazione di coloro che
erano compromessi con il regime mussoliniano fu prima occasionale, poi
claudicante e infine venne di fatto neutralizzata». Infine, il fatto
che, specie negli anni Sessanta e Settanta, il neofascismo seppe
presentarsi come «blocco d’ordine», intercettando così il consenso e il
sostegno di quella parte più conservatrice dell’opinione pubblica,
sebbene spesso anche estranea al nostalgismo tout-court, che vide in
esso uno strumento per cercare di fermare o rallentare i cambiamenti in
corso nel Paese.
NELLA VASTA RICOSTRUZIONE delle traiettorie
politiche e organizzative che hanno caratterizzato via via il mondo
neofascista, passando, solo per citare alcuni dei capitoli più
significativi della vicenda, dalla figura del «comandante» Borghese al
pensiero di Evola, dalla «strategia della tensione» all’esperienza di
Terza Posizione, dallo «spontaneismo armato» al percorso «metapoliticao»
della cosiddetta Nuova Destra culturale, Vercelli si sofferma inoltre
su alcuni «nodi» tematici centrali. Da un lato, il tema del ricorso alla
forza che lungi dall’essere un semplice corollario dell’esperienza
neofascista, ne rappresenta «un aspetto ineludibile», attraverso
l’evocazione del «valore etico della violenza come strumento di
purificazione della società dal disordine generato dal decadimento
imputabile ai tempi moderni».
QUINDI, LA CREAZIONE di una
«dimensione ideologica», di una cultura, un linguaggio e un immaginario
che hanno per certi versi attraversato le generazioni, conoscendo una
certa, seppur minima, dose di innovazione ma anche una continuità
sorprendente, fino a riemergere dalla ridotte del neofascismo per
assumere nell’attuale «stagione della crisi» visibilità e credito ben
più larghi. Si pensi anche soltanto alle letture «complottiste» e
identitarie dei fenomeni migratori o al ritorno in auge della
geopolitica. Infine, la presenza di uno «stile neofascista», vale a dire
«l’insieme di atteggiamenti, parole, pensieri, modi di vestire, luoghi
d’incontro e di socializzazione» che non ha solo preservato fin qui «la
comunità nera», ma si presenta oggi, specie alle giovani generazioni,
come una risposta articolata alla crisi della militanza politica.
Vercelli
invita perciò a «prendere sul serio» il neofascismo, vale a dire a
leggerne l’intreccio e la contaminazione crescenti con il dilagante
«fenomeno populista» e «sovranista», come il tentativo di costruire un
nuovo radicamento dentro la crisi sociale di questi anni.
DOPO
AVER RAPPRESENTATO per più di mezzo secolo un sostegno, e uno strumento
anche violento per le «maggioranze silenziose», la destra radicale
ambisce infatti ora «a rappresentare il territorio sociale
dell’esclusione», vale a dire quelle parti della nostra società che
lamentano la loro marginalizzazione dai processi di cambiamento in atto.
Un percorso che si articola attraverso l’indicazione di «cause di
disagio immediatamente condivisibili: immigrazione, “poteri forti”,
furto del lavoro e del territorio, complotti».
La forza del
radicalismo di destra, conclude lo storico, è del resto «direttamente
proporzionale alla crisi della democrazia sociale. Più indietreggia la
seconda, maggiori sono gli spazi per il primo, presentandosi come falsa
risposta a problemi e disagi invece reali e diffusi».