lunedì 7 gennaio 2019

Il Fatto 7.1.19
Sar libica: le panzane maltesi, la furbizia italiana, l’ipocrisia Ue
Sull’affidabilità dei porti nordafricani si basa la strategia comune per lasciare a mare chi prova a venire in Europa
di Antonio Massari


“Se si fosse accettato di far sbarcare le navi delle due Ong sin dall’inizio senza chiarimenti, i bulli avrebbero vinto, mentre i paesi come Malta, che rispettano le leggi e salvano vite, sarebbero finiti per essere le vittime”. Parola del primo ministro maltese Joseph Muscat al 16esimo giorno di stallo per le navi Sea Eye e Sea Watch 3 e i 49 naufraghi a bordo. Pura propaganda. In realtà, sulla loro pelle si sta giocando l’ennesima battaglia sull’immigrazione irregolare – e sul consenso per le elezioni europee – ingaggiata in Europa e in Italia. Muscat, Salvini, Di Maio: ognuno ha la sua partita. Bruxelles inclusa. E ed è per questo che, da ben 17 notti, 39 maschi adulti e 10 tra donne e bambini restano in mare. Un anno fa sarebbe andata diversamente. A innescare questa situazione è stata l’Italia.
La zona Sar libica
La Libia ha dichiarato la propria zona di soccorso e recupero (zona Sar) nel giugno 2018. Che accade se un barcone viene soccorso in acque sar libiche? In base al trattato di Amburgo si chiede all’autorità nordafricana di coordinare i soccorsi e fornire un posto sicuro per lo sbarco dei naufraghi. La Libia – peraltro nelle attuali condizioni d’instabilità – non avrebbe potuto rivendicare una zona Sar se l’Italia non le avesse fornito, con il governo Gentiloni, motovedette e addestramento. È stato questo il modo in cui l’Italia è riuscita a obbligare chi presta i soccorsi a riportare i naufraghi in Libia.
Il porto insicuro
Da quando esiste la sua zona Sar, sosteniamo che la Libia è in condizioni di offrire un “porto sicuro”. L’ipocrisia delle formule burocratiche non può però modificare la realtà: non può offrire alcun porto sicuro perché non è un luogo sicuro. La Libia versa in condizioni di pericolosa instabilità, con ripetute violazioni dei diritti umani, inclusi stupri, torture e sequestri per i migranti, che si sottopongono a tutto questo per racimolare i soldi utili a raggiungere l’Ue. La verità è che l’Ue – con il grande aiuto dell’Italia – ha deciso che i migranti debbano essere restituiti ai loro aguzzini.
Ti affondo per salvarti
Con zona Sar e possibilità di indicare un porto sicuro, chi soccorre i migranti in acque Sar libiche ora deve coordinarsi con la Guardia Costiera nordafricana e consegnarli a Tripoli. E se la Guarda costiera libica individua un natante, oppure riceve un sos – quasi impossibile che accada, visto che i migranti scappano – invia le sue motovedette. Il Fatto ha rivelato quali sono, molto spesso, le modalità di salvataggio utilizzate dai marinai libici: poiché i migranti non hanno alcuna intenzione di ripiombare tra torture e stupri, si rifiutano di salire sulle motovedette. I libici a quel punto le affondano, trasbordando i migranti direttamente dal mare. A volte però tra le onde resta qualche cadavere: nel luglio 2018, oltre la sopravvissuta Josefa, che era moribonda, la Ong Proactiva recuperò il cadavere di una donna e un bambino. Sono questi i motivi per i quali Ong e migranti si rifiutano di coordinarsi con la Libia e si allontanano dalla sua area Sar dopo i soccorsi.
Questione politica
Il rifiuto di coordinarsi con la Libia sradica il soccorso dalle leggi del mare e lo porta nel territorio delle scelte politiche. L’obbligo della Ong era chiedere un porto alla Libia. E la Libia era obbligata a fornirlo. Nessun altro Stato ha l’obbligo di indicare un porto sicuro. La questione si sposta così sulla scelta che ogni singolo stato Ue – legittimamente – può operare in materia di immigrazione e sicurezza. E qui entra in ballo la propaganda.
Le menzogne di Malta
I maltesi sostengono che Sea Watch 3 e Sea Eye abbiano soccorso – anzi solo trasbordato – i migranti in acque più vicine all’Italia che a La Valletta. È falso. Il Fatto ieri ha pubblicato atti che dimostrano qualcosa di peggio: nell’agosto scorso Malta s’è rifiutata di soccorrere 190 naufraghi, nelle sue acque Sar, indirizzandoli all’Italia. Fu la nostra Guardia Costiera a salvarli da un naufragio certo in acque sar maltesi.
La guerra giallo-verde
Sulla pelle dei 49 naufraghi fermi da 17 giorni si consuma anche la guerra di governo tra Lega e M5S. Di Maio, strizzando l’occhio all’elettorato di sinistra, propone di accogliere solo donne e bambini – dieci persone – e Salvini nessuno. Posto che sarebbe disumano separare nuclei familiari, 10 persone sul piano della realtà non fanno la differenza, ma sul piano della propaganda sì. La pelle di questi 49 naufraghi è già il territorio della campagna elettorale europea.
La “guerra” Ue
Se la redistribuzione dei naufraghi su base europea fosse operativa, e si superasse il trattato di Dublino, che prevede la permanenza dei migranti nei luoghi di sbarco, la situazione muterebbe. Le principali coste d’approdo sono infatti quelle italiane e maltesi alle quali, prima della zona Sar libica, le convenzioni consentivano di richiedere il coordinamento dei soccorsi. La “guerra” sugli sbarchi nasce anche da questo: Bruxelles non è meno ipocrita e disumana di Roma o La Valletta.