sabato 5 gennaio 2019

Il Fatto 5.1.18
Cina, la Via della Seta è l’unica
di Alessia Grossi


Manca un mese al 5 febbraio, il Capodanno del Dragone, ma in migliaia di aziende cinesi gli operai sono già in ferie anticipate per mancanza di commesse. Il fatturato delle imprese a novembre 2018 è calato per la prima volta negli ultimi tre anni. L’economia rallenta, e per il 2019 il tasso di crescita sarà il più basso degli ultimi 29 anni, anche a causa delle ostilità commerciali e tecnologiche con gli Usa. Eppure – a 40 anni da quel 18 dicembre 1978, in cui davanti all’assemblea del Partito comunista Deng Xiaoping annunciava la grande rivoluzione commerciale della Cina – l’attuale presidente Xi Jinping, nel suo discorso celebrativo dell’anniversario, è tornato a ribadire “la centralità” del paese sul “palcoscenico globale”. A proposito di globalizzazione, Jinping ha giurato che anche nel 2019 “la diplomazia cinese si concentrerà nel promuovere ulteriormente il progetto economico d’integrazione della Nuova Via della Seta, per sostenere i processi di globalizzazione e costruzione di una comunità globale con unico destino”. Qualunque cosa significhi quest’ultimo passaggio, dall’Asia agli Usa all’Europa e in tutto il Mediterraneo, il discorso di Jinping si legge “Belt and Road Initiative” ed è il più grande e ambizioso progetto infrastrutturale del mondo nonché uno dei progetti pubblici più importanti del XXI secolo. Lanciato dallo stesso presidente appena salito al potere nel 2013, il Piano di Sviluppo per la connessione e la collaborazione tra la Cina e l’Europa prevede la creazione di una rete di comunicazione e di trasporto attraverso 65 paesi e ha avviato la collaborazione con 70 paesi dello spazio eurasiatico. Così la Nuova Via della Seta dovrebbe consentire al paese, entro il 2022, di intensificare le proprie rotte commerciali già avviate nel triennio 2014-2017 per cui sono stati investiti 70 miliardi di dollari in 1400 progetti a cui si aggiungeranno da qui al 2022 ulteriori investimenti per altri 30 miliardi di dollari. Sulla falsariga della vecchia Via della seta, le direttrici principali previste da Pechino per la Bri sono due: quella di mare e quella di terra. Quest’ultima, la Silk Road Economic Belt collegherà non solo i centri produttivi della Cina meridionale ai mercati di consumo europei tramite la ferrovia che passa per l’Asia Centrale (Kazakistan), ma anche la Russia alla Turchia, passando per Pakistan e Iran, e l’India, tramite il Sud Est Asiatico (Thailandia e Myanmar). La rotta vedrà il potenziamento di sei corridoi: il nuovo ponte eurasiatico, una ferrovia che collegherà la provincia cinese dello Jiangsu a Rotterdam; il corridoio Cina-Mongolia-Russia e la costruzione di un collegamento Cina-Asia Centrale-Asia Occidentale dalla provincia cinese dello Xinjiang fino alle coste del Mediterraneo e alla penisola arabica; il corridoio Cina-Penisola Indocinese che unirà il paese a Singapore. Saranno poi realizzati i corridoi Cina-Pakistan e Bangladesh-Cina-India-Myanmar.
Quella più interessante per l’Europa in realtà è la direttrice marittima, la cosiddetta Maritime Silk Road che consentirà alle merci di raggiungere il Mediterraneo passando per Suez – allungandosi fino alle coste dell’Africa Orientale (Gibuti, Kenya e Tanzania) e al Magreb – e il resto dell’Asia tramite il Mar cinese meridionale. Nel monumentale progetto nel 2018 la Repubblica Popolare ha investito 12 miliardi di dollari, il 6,4% in più del 2017, ma a puntare sulla Bri sono state anche – crescita o no – le aziende cinesi, soprattutto colossi logistici come Cosco e China Merchants Group, già da decenni impegnati in investimenti nel Mediterraneo. Il primo, con il 67% delle quote di mercato della società, controlla il porto greco del Pireo considerato “la porta del Mediterraneo”, il secondo ha aperto un centro di ricerca a Ravenna e sarebbe interessato a investire nel porto di Trieste.
L’attracco italiano in realtà rientra nel progetto dei 5 porti del Nord Adriatico cofinanziato a partire dal 2014 dal governo italiano e dal fondo cinese per la via della seta per un costo stimato di 2,2 miliardi di euro. Oltre a Trieste e Ravenna interesserà i porti di Venezia, Capodistria (Slovenia) e Fiume (Croazia). Attraverso questa rotta l’Italia dovrebbe competere con la Grecia e la Turchia, offrendo alle navi cinesi un percorso alternativo a quello che dai porti del sud del Mediterraneo passa per i Balcani. Ma la seta non si ferma qui. Nell’augurio di Xi Jinping nascerà un’altra via: quella della Seta Polare che dovrebbe passare lungo tre nuove rotte. Una a nord-est (Russia), una centrale e uno a nord-ovest (Canada). E l’anno del maiale non è ancora iniziato.