venerdì 4 gennaio 2019

Il Fatto 4.1.18
Sfuggiti ai libici, appesi all’Europa che non trova un porto di sbarco
Frontiere chiuse per tutti. Le Ong in contatto da giorni con Malta, Italia, Spagna e Germania: ma senza risposte
di Alessandro Mantovani


La Professor Albrecht Plenck, la più piccola delle due navi che l’Europa non vuole, ieri pomeriggio era a circa cinque miglia nautiche a sud di Gozo, la seconda isola di Malta, al riparo dal vento e dal mare che vengono da nord. È stato il sesto giorno di navigazione per il cargo affittato dalla Ong tedesca Sea Eye di Ratisbona che il 29 dicembre ha soccorso in mare, a 28 miglia dalle coste della provincia libica di Sabrata, a ovest di Tripoli, 17 persone su un barchino: sedici uomini tra cui due diciassettenni non accompagnati e una donna di 24 anni, Mercy, nigeriana, che più di tutti ha avuto bisogno di cure; tre sudanesi, tre nigeriani, tre camerunensi, due ivoriani, due guineaiani, un maliano, un sierraleonese, quasi tutti sui vent’anni e un paio sopra i 40.
Qualche decina di miglia più a sud, a ridosso delle coste occidentali maltesi, c’è la Sea Watch 3 di Sea Watch, altra Ong tedesca, 50 metri di lunghezza contro i 38 dell’altra, con 32 naufraghi a bordo. Sono in mare dal 22 dicembre, ben tredici giorni, il salvataggio è stato nella stessa zona, a 26 miglia da Sabrata: ieri mattina hanno diffuso un filmato della nave sbatacchiata dalle onde che salivano sul ponte, mentre gli ospiti africani erano sotto coperta con tutto quello che significa per chi ha subito detenzioni anche lunghe in Libia. Questa mattina presto dovrebbero tentare un rifornimento in mare, ci sono rischi sanitari. “Non è facile spiegare che non c’è un porto sicuro”, raccontano da Sea Watch. Sulla nave hanno festeggiato Natale e Capodanno.
Un po’ di sollievo è arrivato ieri con la lettera di Luigi De Magistris al comandante, il sindaco di Napoli vuole aprire il porto. Il ministro degli interni Matteo Salvini ha ribadito che decide lui, in base alle regole fissate da Marco Minniti che hanno attribuito al Viminale competenze normalmente spettanti alle Capitanerie e quindi al ministero dei Trasporti: “Ogni sbarco – dice il capo della Lega – è un incentivo agli scafisti per continuare il loro sporchi traffici”. Chissà se entrassero in porto chi darebbe l’ordine di sparargli addosso e chi lo eseguirebbe…
La sorte dei 49 a bordo della Sea Watch 3 e della Professor Albrech Plenck è appesa al negoziato che la Commissione europea conduce con gli Stati membri. C’è la disponibilità della Germania, dell’Olanda e della Francia ad accogliere i migranti ma il porto non c’è ancora. Salvini fa la faccia feroce anche se in Italia non c’è nessuna emergenza, tra il 2017 e il 2018 siamo passati da 180 mila a 20 mila sbarchi, il calo era già vistoso con Minniti, la pressione dalla Libia è meno forte di prima e ad ogni modo, secondo i dati del Viminale, dal 22 dicembre sono entrate in Italia 165 persone, 359 dell’intero mese di dicembre, però “non se ne è parlato, il sospetto è che si stia alzando la voce perché c’entrano le Ong”, ha detto al Sole 24 Ore Flavio Di Giacomo, portavoce dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), agenzia Onu. Oltre all’Italia c’è Malta ed è lì che le Ong vogliono portare i 49. Un accordo sulle ricollocazioni sembra perfino banale, ma diversi accordi di questo tipo, in passato, non sono stati rispettati.
Non c’è dubbio che entrambi gli interventi di soccorso siano avvenuti nell’ampia zona Sar (Search and rescue, ricerca e soccorso) dichiarata dal traballante governo provvisorio di Tripoli, quello di Fayez al-Sarraj, precisamente a meno di 30 miglia dalle coste libiche, circa 130 da Lampedusa e circa 170/180 da Malta. Entrambe le navi si sono rivolte ai centri di coordinamento di Roma e La Valletta che hanno dichiarato la competenza libica. Così anche il centro tedesco di Brema, chiamato da Sea Eye: “Si sono limitati a dirci di seguire gli ordini dei libici” , ha raccontato Jan Ribbeck, capo della Missione di Sea Eye. Sea Watch dice di non aver avuto risposte dai libici, Sea Eye riferisce una risposta c’è stata. Sea Watch ha fatto sapere di aver contattato anche le autorità della Spagna, che proprio nei primi giorni di questa crisi avevano concesso alla nave Open Arms della Ong catalana Proactiva Open Arms di sbarcare con 300 migranti ad Algesiras ma a loro ha detto no. Ha contattato anche l’Olanda, di cui batte bandiera, e la Francia. Tutti no. Le Ong ad ogni modo si sono rifiutate di consegnare i naufraghi ai libici, del resto sono lì proprio perché non si fidano dei libici.
Il Segretariato generale dell’Onu ha più volte documentato torture e violenze non solo nei centri di detenzione “non ufficiali” ma anche sui migranti ripescati in mare dai guardacoste. La Commissione europea ha detto più volte che la Libia non è “un porto sicuro” ai sensi della Convenzioni internazionali. E la Sea Watch 3 è stata al centro di un episodio drammatico, nel novembre 2017, in cui persero la vita 50 persone perché un’imbarcazione militare libica e la nave della Ong si trovarono a intervenire contemporaneamente su un naufragio: il New York Times ha documentato che la motovedetta su cui i guardacoste prendevano a calci i naufraghi era una di quelle donate da Minniti a Tripoli. La questione è all’esame della Corte europea dei diritti umani. L’Associazione studi giuridici sull’immigrazione consiglia a Sea Watch e Sea Eye di ricorrere ai giudici di Strasburgo anche per il rifiuto prolungato di concedere un porto che si consuma in questi giorni, configurandolo come respingimento collettivo vietato.