Il Fatto 31.1.1
Io e Totò sfuggiti ai fasci. “Nascosti per 15 giorni”
di Ciro Borrelli e Domenico Livigni
Di
seguito riportiamo una parte del libro “Totò con i quattro” scritto da
Ciro Borrelli e Domenico Livigni. I due si sono documentati a fondo
sulla vita del Principe e delle sue celebri quattro spalle (se spalle si
possono definire), e da questo studio hanno tratto una serie di
interviste immaginarie ma fedeli negli episodi narrati.
Lei e Totò eravate antifascisti, vero?
Fortemente!
A me e a mio fratello Eduardo una sera i gerarchi mandarono degli
squadristi, che finito lo spettacolo, salirono in palcoscenico per
darcele. Per fortuna ci avvisarono a tempo; sgattaiolammo da un’uscita
secondaria. Ad Antonio, in quegli anni, tirarono addirittura una bomba!
All’epoca si esibiva al Teatro Valle di Roma insieme alla meravigliosa
Anna Magnani.
Nel suo libro, “Strette di mano”, descrive un tentativo di deportare voi De Filippo e Totò in Germania?
In
un tardo pomeriggio della primavera del 1944, a quell’epoca la mia
compagnia si esibiva all’Eliseo di Roma, i miei fratelli e io stavamo
per andare in scena, quando a un tratto vedemmo arrivare in teatro Totò.
Senza troppi convenevoli mi prese per la giacchetta e mi trascinò in
camerino. Aveva l’aria preoccupata ed era scuro in volto. Una volta
soli, e lontano da occhi indiscreti, mi disse che aveva sospeso le prove
in teatro e che stava andando a nascondersi da un suo amico. Lo fissavo
senza riuscire a capire dove volesse arrivare. Poi, tentennando con la
testa, si grattò il mento lungo e sporgente e mi disse, anzi mi
sussurrò, che aveva ricevuto una soffiata da un suo confidente che
lavorava presso la Questura centrale. I fascisti avevano preparato una
lista. Un elenco di persone destinate a un treno e alla deportazione in
Germania. Sullo stesso treno, insieme a Totò, saremmo dovuti finire
anche noi De Filippo.
Totò dove si nascose?
All’estrema
periferia di Roma Nord, con la moglie e la figlia, ospite dei coniugi De
Sanctis, suoi grandi ammiratori. Nessuno doveva sapere dove fosse ma in
realtà alcuni estimatori del Principe andarono a fargli visita in
cambio di un autografo.
Si rese conto subito del rischio che lei e suo fratello correvate?
All’inizio
pensai che si trattasse di uno scherzo. Totò non era nuovo a scherzi
pesanti e anche di cattivo gusto; tanto è vero che io quasi sorridevo
mentre lui si agitava alzando il tono della voce: “Ci hanno messo pure a
me… ma tu ci pensi? Un principe deportato come un malvivente? Ma io so
dove nascondermi. Lo stesso dovete fare anche tu e tuo fratello, ma
presto!”. Io e Eduardo fummo molto cauti. Sospendemmo le recite e ci
rifugiammo presso una cara amica che abitava ai Parioli, una parente di
Guido Alberti, futuro organizzatore del Premio Strega, nei pressi della
dimora della mia amatissima moglie Lidia.
Quanto tempo restò nascosto con suo fratello?
Quindici giorni. Durante quell’isolamento ricevemmo una visita inaspettata.
Totò?
Assolutamente
no. La cameriera venne a dirmi che alla porta vi era una ammiratrice in
cerca di un mio autografo e con in mano un biglietto da consegnarmi:
era di Totò, il quale, venuto a sapere del mio nascondiglio, mi chiedeva
di concedere una dedica alla ragazza. Andai su tutte le furie. Ma come,
il mio amico Totò spiattella alla prima che capita il nascondiglio? Lo
avrei strozzato.
Dopo quanto tempo vi rincontraste?
Mesi.
Nel frattempo mia madre ci aveva lasciati il mattino del 21 giugno del
1944 all’età di sessantasei anni. Sei mesi dopo si era sciolta la
compagnia dei De Filippo, mi ero separato artisticamente dai miei
fratelli, con i quali negli ultimi tempi ci si sopportava a malapena,
specie con Eduardo. Mi ero separato dalla mia prima moglie e, con
dolore, da mio figlio Luigi; avevo lasciato la mia Napoli e stabilito a
Roma. Ero stato scritturato da Remigio Paone, grazie all’amico Michele
Galdieri, per la Rivista Imputati alzatevi!. Soldi ne guadagnavo tanti,
ma con questa compagnia di Rivista passavo continuamente da un
cinema-teatro ad un altro, e non mi sentivo soddisfatto. Ecco perché
avevo deciso di lasciare Paone, e sotto consiglio di Lidia, a metter su
una mia compagnia, in lingua italiana con la quale debuttai a Milano
nell’agosto del 1945. Un successo incredibile. Mentre eravamo in tournée
per tutta l’Italia, passando per Roma incontrai Totò. Quell’anno fui
talmente impegnato in teatro, che non girai nessun film e rinunciai ad
una proposta cinematografica che mi avrebbe fatto comodo da un punto di
vista economico. Totò, anch’egli impegnato in teatro, invece girò un
film di poco conto, Il ratto delle sabine. Si salvano solo i duetti con
colui che sarà la sola e vera spalla del principe: Mario Castellani.
Mario fu la spalla di Totò! Non io, non Fabrizi né Taranto. Noi tre
fummo dei primi attori, dei comprimari al pari di Totò. Con questo non
voglio sminuire la memoria del mio amico Mario, ottimo interprete. Tanto
è vero che ha collaborato con la mia compagnia per diverso tempo.
Torniamo al suo incontro con Totò nel Dopoguerra…
Dopo
i convenevoli, lo presi in disparte e sotto braccio gli dissi: “Antò,
ma il fatto dei tedeschi fu uno scherzo?”. Rispose: “Fossi matto! Ma tu
sei scemo? Molti artisti dovevano essere deportati in Germania. Ti ho
salvato la pelle”. Gli feci ancora: “E la ragazza alla porta? Quella
dell’autografo?”. Accennò una timida smorfia tenendo a freno quel suo
dolce e malizioso sorriso, poi, fissandomi con i suoi occhioni neri ed
espressivi rispose: “Quello sì che era uno scherzo!”. Poi mi diede una
pacca sulla spalla e ci abbracciammo.