giovedì 31 gennaio 2019

Il Fatto 31.1.1
Io e Totò sfuggiti ai fasci. “Nascosti per 15 giorni”
di Ciro Borrelli e Domenico Livigni


Di seguito riportiamo una parte del libro “Totò con i quattro” scritto da Ciro Borrelli e Domenico Livigni. I due si sono documentati a fondo sulla vita del Principe e delle sue celebri quattro spalle (se spalle si possono definire), e da questo studio hanno tratto una serie di interviste immaginarie ma fedeli negli episodi narrati.

Lei e Totò eravate antifascisti, vero?
Fortemente! A me e a mio fratello Eduardo una sera i gerarchi mandarono degli squadristi, che finito lo spettacolo, salirono in palcoscenico per darcele. Per fortuna ci avvisarono a tempo; sgattaiolammo da un’uscita secondaria. Ad Antonio, in quegli anni, tirarono addirittura una bomba! All’epoca si esibiva al Teatro Valle di Roma insieme alla meravigliosa Anna Magnani.
Nel suo libro, “Strette di mano”, descrive un tentativo di deportare voi De Filippo e Totò in Germania?
In un tardo pomeriggio della primavera del 1944, a quell’epoca la mia compagnia si esibiva all’Eliseo di Roma, i miei fratelli e io stavamo per andare in scena, quando a un tratto vedemmo arrivare in teatro Totò. Senza troppi convenevoli mi prese per la giacchetta e mi trascinò in camerino. Aveva l’aria preoccupata ed era scuro in volto. Una volta soli, e lontano da occhi indiscreti, mi disse che aveva sospeso le prove in teatro e che stava andando a nascondersi da un suo amico. Lo fissavo senza riuscire a capire dove volesse arrivare. Poi, tentennando con la testa, si grattò il mento lungo e sporgente e mi disse, anzi mi sussurrò, che aveva ricevuto una soffiata da un suo confidente che lavorava presso la Questura centrale. I fascisti avevano preparato una lista. Un elenco di persone destinate a un treno e alla deportazione in Germania. Sullo stesso treno, insieme a Totò, saremmo dovuti finire anche noi De Filippo.
Totò dove si nascose?
All’estrema periferia di Roma Nord, con la moglie e la figlia, ospite dei coniugi De Sanctis, suoi grandi ammiratori. Nessuno doveva sapere dove fosse ma in realtà alcuni estimatori del Principe andarono a fargli visita in cambio di un autografo.
Si rese conto subito del rischio che lei e suo fratello correvate?
All’inizio pensai che si trattasse di uno scherzo. Totò non era nuovo a scherzi pesanti e anche di cattivo gusto; tanto è vero che io quasi sorridevo mentre lui si agitava alzando il tono della voce: “Ci hanno messo pure a me… ma tu ci pensi? Un principe deportato come un malvivente? Ma io so dove nascondermi. Lo stesso dovete fare anche tu e tuo fratello, ma presto!”. Io e Eduardo fummo molto cauti. Sospendemmo le recite e ci rifugiammo presso una cara amica che abitava ai Parioli, una parente di Guido Alberti, futuro organizzatore del Premio Strega, nei pressi della dimora della mia amatissima moglie Lidia.
Quanto tempo restò nascosto con suo fratello?
Quindici giorni. Durante quell’isolamento ricevemmo una visita inaspettata.
Totò?
Assolutamente no. La cameriera venne a dirmi che alla porta vi era una ammiratrice in cerca di un mio autografo e con in mano un biglietto da consegnarmi: era di Totò, il quale, venuto a sapere del mio nascondiglio, mi chiedeva di concedere una dedica alla ragazza. Andai su tutte le furie. Ma come, il mio amico Totò spiattella alla prima che capita il nascondiglio? Lo avrei strozzato.
Dopo quanto tempo vi rincontraste?
Mesi. Nel frattempo mia madre ci aveva lasciati il mattino del 21 giugno del 1944 all’età di sessantasei anni. Sei mesi dopo si era sciolta la compagnia dei De Filippo, mi ero separato artisticamente dai miei fratelli, con i quali negli ultimi tempi ci si sopportava a malapena, specie con Eduardo. Mi ero separato dalla mia prima moglie e, con dolore, da mio figlio Luigi; avevo lasciato la mia Napoli e stabilito a Roma. Ero stato scritturato da Remigio Paone, grazie all’amico Michele Galdieri, per la Rivista Imputati alzatevi!. Soldi ne guadagnavo tanti, ma con questa compagnia di Rivista passavo continuamente da un cinema-teatro ad un altro, e non mi sentivo soddisfatto. Ecco perché avevo deciso di lasciare Paone, e sotto consiglio di Lidia, a metter su una mia compagnia, in lingua italiana con la quale debuttai a Milano nell’agosto del 1945. Un successo incredibile. Mentre eravamo in tournée per tutta l’Italia, passando per Roma incontrai Totò. Quell’anno fui talmente impegnato in teatro, che non girai nessun film e rinunciai ad una proposta cinematografica che mi avrebbe fatto comodo da un punto di vista economico. Totò, anch’egli impegnato in teatro, invece girò un film di poco conto, Il ratto delle sabine. Si salvano solo i duetti con colui che sarà la sola e vera spalla del principe: Mario Castellani. Mario fu la spalla di Totò! Non io, non Fabrizi né Taranto. Noi tre fummo dei primi attori, dei comprimari al pari di Totò. Con questo non voglio sminuire la memoria del mio amico Mario, ottimo interprete. Tanto è vero che ha collaborato con la mia compagnia per diverso tempo.
Torniamo al suo incontro con Totò nel Dopoguerra…
Dopo i convenevoli, lo presi in disparte e sotto braccio gli dissi: “Antò, ma il fatto dei tedeschi fu uno scherzo?”. Rispose: “Fossi matto! Ma tu sei scemo? Molti artisti dovevano essere deportati in Germania. Ti ho salvato la pelle”. Gli feci ancora: “E la ragazza alla porta? Quella dell’autografo?”. Accennò una timida smorfia tenendo a freno quel suo dolce e malizioso sorriso, poi, fissandomi con i suoi occhioni neri ed espressivi rispose: “Quello sì che era uno scherzo!”. Poi mi diede una pacca sulla spalla e ci abbracciammo.