Corriere 31.1.19
1919-2019 Un saggio di Franzinelli
Il doppio registro di Mussolini «sansepolcrista»
di Antonio Carioti
Bisogna
essere grati a Mimmo Franzinelli per lo scrupolo e l’attenzione con cui
si dedica a diversi argomenti della nostra storia recente, fornendo
sempre al lettore nuovi dati e spunti di riflessione. Questa volta,
approfittando del centenario, nel volume Fascismo anno zero (Mondadori,
pagine 289, e 22) si è cimentato con i primi mesi di vita del movimento
mussoliniano, quando i suoi connotati erano più ambigui e la sua sorte
più precaria, tanto è vero che il 1919 si chiude per il futuro Duce con
una bruciante sconfitta elettorale. Il 16 novembre i fascisti nella
circoscrizione di Milano, l’unica dove si presentano da soli, non
prendono seggi e restano sotto i 5 mila voti, umiliati dall’odiato Psi
che ne ottiene 170 mila. Eppure tra i candidati rimasti al palo c’erano
nomi di spicco, come il poeta capofila del futurismo Filippo Tommaso
Marinetti, il grande direttore d’orchestra Arturo Toscanini (più tardi
antifascista) e naturalmente lo stesso Benito Mussolini.
Come
emerge dalle pagine di Franzinelli, non funziona un granché il doppio
registro che contrassegna l’esordio del fascismo: da una parte
nazionalismo accanito e antisocialismo violento (favorito dalla
posizione estrema del Psi, abbagliato dal mito sovietico); dall’altra
apertura alle istanze della classe operaia, ardite proposte di riforma,
ostilità di facciata alla «plutocrazia». Tre giorni prima di fondare il
suo movimento con l’adunata di piazza San Sepolcro a Milano, Mussolini
il 20 marzo 1919 va a Dalmine, presso Bergamo, ad arringare i lavoratori
che hanno occupato un’acciaieria. Nel programma dei Fasci di
combattimento reclama il voto alle donne, imposte espropriative sul
capitale, il sequestro dei beni ecclesiastici e di gran parte dei
profitti di guerra: punti destinati a finire in soffitta. E il 23 marzo a
San Sepolcro Mussolini invoca il passaggio dalla monarchia alla
repubblica, applaudito da una platea limitata (circa 200 persone, di cui
Franzinelli fornisce i profili), nella quale molti sono coloro che si
staccheranno da lui.
Infatti lo spazio disponibile in abbondanza
per i fascisti si trova a destra, in sintonia del resto con la vocazione
aggressiva che il 15 aprile 1919 li porta a incendiare la sede
dell’«Avanti!», il giornale del Psi di cui un tempo Mussolini era stato
direttore. Quell’episodio cruento, con quattro morti, si può considerare
il battesimo dello squadrismo, che nel 1920 comincerà a dilagare prima
in Venezia Giulia e poi nella valle del Po.
Franzinelli
sottolinea, con nuove interessanti acquisizioni, il peso che ebbero
nello sviluppo del fascismo i finanziamenti procurati da ambienti
imprenditoriali di punta. Non pare però che questi elementi possano
inficiare l’interpretazione di autori come Renzo De Felice ed Emilio
Gentile, che hanno visto nella creatura di Mussolini una «espressione
della piccola borghesia o dei ceti medi», e suggerire, come scrive
Franzinelli, di considerarla invece «un movimento politico supportato
dalla parte più moderna del capitalismo».
In realtà l’una cosa non
contraddice l’altra. Certamente i Fasci (come altre forze avverse al
Psi) ricevettero fondi da industriali e banchieri nel 1919, ma il denaro
nell’immediato servì a poco, data la terribile batosta elettorale di
cui si è detto. A rendere Mussolini protagonista, consentendogli poi una
rapida ascesa, fu invece proprio il consenso di massa dei ceti medi che
conquistò a partire dalla seconda metà del 1920, mettendosi alla testa
della reazione borghese, spesso molto brutale, contro la minaccia
«bolscevica» che tanta apprensione suscitava nel Paese.