Il Fatto 31.1.19
Processo Salvini, panico M5S e l’ipotesi dell’autodenuncia
In
difficoltà - Conte e i 5Stelle: “Sulla Diciotti il governo fu unanime”.
Il Movimento non può bloccare i giudici, ma i suoi ministri potrebbero
chiedere di essere processati
di Luca De Carolis
Salvini
fa la mossa, ed è panico a Cinque Stelle. Perché il coinquilino si
rimangia la parola e pretende che non lo mandino a processo, nero su
bianco. E il M5S s’impantana: sospeso tra l’obbligo di rispettare i
propri codici, quindi di dire sì al rinvio a giudizio, e la paura che
crolli tutto, cioè il governo. E in un martedì da calvario oscilla tra
varie scelte: convincere i suoi ministri ad autodenunciarsi votando
comunque sì, oppure lasciare libertà di coscienza ai senatori, o votare
no. Tanto ha potuto la lettera di ieri del ministro dell’Interno al
Corriere della Sera , che fino a domenica giurava di non voler fare muro
al processo per sequestro di persona, chiesto per lui dal tribunale dei
ministri di Catania per il caso della nave Diciotti.
Però già
lunedì aveva fatto uscire i due capigruppo alle Camere contro il rinvio a
giudizio, e fatto trapelare dubbi sulle sue intenzioni. E ieri ha
sterzato. “Ritengo che l’autorizzazione a procedere vada negata” scrive
il vicepremier. E la ragione la spiega così: “Ai sensi della legge
costituzionale n.1 del 1989, il Senato nega l’autorizzazione ove reputi
che l’inquisito abbia agito per il perseguimento di un preminente
interesse pubblico nell’esercizio della funzione di governo”. Tradotto,
ho agito da ministro nell’interesse dello Stato, quindi vado tutelato. E
suona come un ultimatum a cui è legato il futuro del governo. Di certo è
una coltellata per Di Maio, a cui Salvini aveva dato rassicurazioni
(“Non vi chiedo nulla Luigi, il governo non rischia”).
Ma qualcosa
è cambiato. “Matteo ha parlato con gli avvocati e si è spaventato, teme
una condanna” sostengono dal Movimento. Però la sua giravolta può
spaccare il M5S. E non può dispiacergli, a quattro mesi dalle Europee.
Per questo Di Maio è furioso, e di prima mattina ordina ai suoi di
tenere la linea, quella del sì al processo. La ripetono il
sottosegretario agli Esteri Manlio Di Stefano e la presidente della
commissione Giustizia Giulia Sarti. E già Di Stefano indica un punto di
caduta: “Conte e Di Maio hanno detto che sono disposti a farsi
processare insieme, perché sono scelte di tutto governo”. Ovvero, si
ostenta di voler condividere il destino dell’alleato. Però ad Agorà il
deputato Emilio Carelli è sincero: “Non so se voteremo sì o no, le cose
sono cambiate”. E con il passare delle ore nel M5S la temperatura sale,
parecchio. Perché in molti lo predicano: “Autodenunciamoci, non lasciamo
alibi alla Lega”.
Ma i vertici sono perplessi. Mentre l’ala
movimentista pressa: “Se votiamo no siamo morti”. E il sì è sicuramente
la scelta preferita dal presidente Camera Roberto Fico, che però si
tiene lontano dalla vicenda. Ma parla dritto il deputato Luigi Gallo, a
lui vicino: “Salvini va processato, la legge è uguale per tutti”.
Intanto Di Maio cerca l’altro vicepremier, con l’obiettivo di farlo
ricredere: senza esito. Mentre si valuta un voto sul blog per chiedere
la linea agli iscritti. “Ma potrebbe tramutarsi in un referendum pro
Salvini” riconoscono. E poi “sui social anche molti dei nostri chiedono
di salvarlo”. Così si pensa anche all’ultimo rifugio, ossia alla libertà
di coscienza per i senatori: anche perché i sette grillini in giunta
per le autorizzazioni sono in gran parte contro il rinvio a giudizio.
“Però con il no dritto ci spaccheremmo in Aula”, è l’obiezione. Di Maio
invece fa sapere che incontrerà i sette della giunta per cercare una
soluzione. Mentre in Senato il sottosegretario all’Economia leghista
Massimo Garavaglia morde: “Autodenunciarsi è una cretinata, non serve a
niente”. Eppure è quello che ripete a Di Martedì il ministro ai
Trasporti Danilo Toninelli, parte in causa nella vicenda Diciotti: “Voto
perché tutto il governo venga sottoposto a processo”.
Intanto Di
Maio sente più volte il premier Giuseppe Conte, in visita a Cipro. E a
Porta a Porta appare Alessandro Di Battista. “Di Maio avrebbe rinunciato
all’immunità. Salvini ha cambiato versione” attacca. Ma poi smussa:
“Non è giusto processare solo il leghista, Conte dovrebbe scrivere al
tribunale dei ministri e alla giunta, attestando che la decisione è
stata un atto di governo condiviso”. E in giunta? “Credo proprio che
voteremo sì”.
Pare la svolta: e invece no. “Alessandro parla da
battitore libero” dicono. Ergo, la via d’uscita va trovata altrove. Ma
Conte sembra in linea: “Mi assumo la piena responsabilità politica per
la vicenda Diciotti”. Sulla via del ritorno, il premier convoca un
vertice notturno con i due vice. Ma prima Salvini incontra i suoi
senatori. “Mi presenterò in Giunta, è mio dovere” rende noto. “Comunque
vada vincerà comunque lui” osserva un sottosegretario del M5S.
Sconsolato.