Il Fatto 2.1.19
L’Ue alla prova della Romania nei 6 mesi di elezioni e Brexit
Anno
nero - Dal 1° gennaio al 30 giugno – tempo cruciale per i 27 – Bucarest
assume la rappresentanza di turno. Scettici sia Tajani che Jean-Claude
Juncker.
di Giampiero Gramaglia
Un Paese
esordiente alla guida dell’Unione europea, in un semestre crocevia di
eventi e dossier: Brexit ed elezioni europee, migranti e Unione
bancaria. Per Bruxelles, una fonte di preoccupazione in più: in modo
piuttosto irrituale, il presidente della Commissione europea Jean-Claude
Juncker esprime dubbi sulle capacità della Romania di cavarsela; e il
presidente del Parlamento europeo Antonio Tajani li avalla. Dal 1°
gennaio al 30 giugno, la Romania esercita la presidenza di turno
semestrale del Consiglio dei ministri dell’Ue. Dopo il “grande
allargamento” del 2004 e 2007, che ha portato nell’Unione 12 nuovi Paesi
– la Croazia è poi entrata nel 2013 –, non è certo la prima volta che
un Paese esordiente assume la presidenza.
Ma l’inesperta, e in
parte inadeguata, presidenza romena cade in un semestre delicatissimo:
quello della Brexit il 29 marzo e delle elezioni europee il 26 maggio,
oltre che delle grandi manovre per il rinnovo di tutte le Istituzioni
comunitarie. E sul Vertice di Sibiu, previsto il 9 maggio, tra la Brexit
e il voto, il presidente della Commissione Juncker ha puntato, fin dal
discorso sullo stato dell’Unione del 2017, molte attese di rilancio e di
rinnovamento. Ma proprio Juncker avanza ora riserve sulla Romania, che
non ha la competenza tecnica e neppure l’affidabilità politica; e Tajani
rincara: elogi per il presidente romeno Klaus Iohannis, il cui partito è
nella famiglia politica europea liberale, ma grosse riserve sul
governo, che è nella famiglia politica europea socialista, ma il cui
operato desta diffuse perplessità. Bruxelles, ad esempio è molto critica
sulla legge che depenalizza la corruzione, al di sotto di una certa
soglia; sulle norme, di tipo polacco o ungherese, che rendono il potere
giudiziario meno indipendente da quello esecutivo e ledono lo stato di
diritto; e sul referendum per inserire in Costituzione il divieto delle
unioni gay, già sancito per legge – il quorum non venne poi raggiunto –.
In questo contesto, Juncker e Tajani mettono in dubbio la capacità di
Bucarest di gestire i dossier dell’Ue. Per i Vertici europei, il
problema non si pone: lì, la Romania, che è una repubblica
semi-presidenziale, è rappresentata dal presidente Iohannis, di
ascendenza tedesca ed europeista. Invece, nei Consigli dei ministri
settoriali, può emergere l’impreparazione del governo, la cui premier,
Viorica Dancila, è una prestanome manovrata dal leader del partito
democratico Liviu Dragnea, condannato per frode elettorale e, quindi,
escluso dai pubblici uffici. Dragnea, che ruota di frequente i premier e
il suo partito utilizzano toni fortemente nazionalisti, hanno una
retorica alla Viktor Orbán, il presidente ungherese teorico della
democrazia illiberale, vedono ovunque macchinazioni del filantropo
George Soros, rappresentano l’anima autoctona e ortodossa del popolo
romeno e hanno una manifesta diffidenza verso la modernità e i valori
dell’Occidente. Contro gli oppositori, non esitano a usare maniere
forti: lo fecero l’estate scorsa, quando i romeni della diaspora – cioè
gli emigrati nell’Ue per trovare un lavoro – si diedero appuntamento a
Bucarest per protestare contro le norme sulla corruzione.
Con
tutte le contraddizioni dei Paesi del Gruppo di Visegrad, che sono
contro la solidarietà e l’integrazione, ma affidano il loro sviluppo ai
fondi europei, che sanno ben utilizzare, la Romania, con l’Italia in
fondo a molte classifiche Ue, deve dunque pilotare l’Unione in mesi
critici e affrontare, nello stesso tempo, una campagna elettorale
turbolenta. Sul fronte sociale, sono in dirittura d’arrivo lo stop al
dumping dei camionisti dell’Est, la riforma dei congedi parentali e
altre misure. Raggiungere intese in extremis è un esercizio delicato e
la Romania – dice Juncker – è “tecnicamente ben preparata”, ma “non ha
ancora pienamente compreso cosa significhi presiedere una riunione dei
Paesi dell’Ue”, perché per gestire negoziati collegiali occorre “la
ferma volontà di mettere le proprie preoccupazioni in secondo piano”:
non è detto che Bucarest sappia farlo, come è invece riuscito
all’Austria del giovane cancelliere Josef Klaus, che pure era guardata
con qualche sospetto per la presenza nel governo dei leghisti locali.
Vienna ha passato la mano e c’è già chi la rimpiange.