Il Fatto 27.1.19
Maduro va allo scontro. All’Ue: “Otto giorni a chi?”
Pressioni
internazionali - Il cancelliere venezuelano all’Onu rispedisce
all’Europa l’ultimatum sulle elezioni. La Russia invia 400 uomini a
proteggere l’erede di Chavez
di Giampiero Gramaglia
La
buona notizia è che il livello di violenza in Venezuela non raggiunge i
livelli da guerra civile temuti: in 96 ore, si contano una trentina di
vittime; e ieri non ce ne sono state, almeno ufficialmente. La cattiva
notizia è che la turbolenza internazionale, sul Paese con due
presidenti, nessuno dei quali pienamente legittimo, s’accresce.
Dopo
scambi di messaggi fra i loro leader, Spagna, Francia, Germania e pure
Gran Bretagna danno gli otto giorni a Maduro: o indice, entro una
settimana, nuove elezioni politiche in Venezuela, o Madrid, Parigi,
Berlino e Londra – ma la lista delle capitali presumibilmente
s’allungherà – riconosceranno come legittimo il presidente
autoproclamato Juan Guaidó. Il regime, però, rimanda ai mittenti
l’ultimatum.
Benché espresso con modalità diverse, il messaggio
dei vari Sanchez, Macron, Merkel e May collima: “Il popolo venezuelano
deve poter decidere liberamente del suo futuro. Senza un annuncio di
elezioni entro otto giorni, potremo riconoscere Guaidó come ‘presidente
ad interim’ e sviluppare con lui questo processo politico. Lavoriamo
intensamente con i nostri alleati europei”. Più sfumata nei tempi, ma
quasi coincidente nella sostanza, la posizione di Federica Mogherini.
L’Alto Rappresentante della politica estera dell’Ue, che aveva già
chiesto a Maduro di annunciare “nei prossimi giorni la convocazione di
nuove elezioni”. Altrimenti “verranno prese diverse azioni” che porranno
anche “il tema del riconoscimento della leadership” nel Paese
latinoamericano.
Come prevedibile, la riunione straordinaria del
Consiglio di Sicurezza dell’Onu, ieri, a New York, al Palazzo di Vetro, è
una palestra di retorica, ma non conduce a nulla. Russia e Cina, grandi
alleati del regime chavista, parlano di “tentativo di golpe in
Venezuela” e “questione interna: “allora, perché non parliamo qui dei
‘Gilets gialli’?”. Gli Usa, con il segretario di Stato Mike Pompeo,
bollano il regime come “mafioso e illegittimo”, gli consigliano di non
“mettere alla prova” la loro determinazione e invitano tutti “a unirsi
alle forze della libertà in Venezuela”, riconoscendo Guaidó e
sospendendo i rapporti economici e finanziari con il governo Maduro – la
Banca d’Inghilterra ha già bloccato un prelievo di 1,2 miliardi di
dollari in oro –.
Da Caracas, Maduro rilancia le parole del
Cremlino e s’impegna a sconfiggere “il colpo di Stato che pretende di
interferire nella vita politica del Venezuela, di mettere da parte la
nostra sovranità e d’istituire un governo fantoccio dell’Impero
americano”. E respinge l’invito a indire nuove elezioni: “Nessuno ci può
dire se convocare o meno le elezioni”, afferma il ministro degli Esteri
Jorge Arreza intervenendo alla riunione del Consiglio di Sicurezza
dell’Onu; e ancora: “Chi siete voi per lanciare un ultimatum ad un
governo sovrano? La vostra è un’ingerenza infantile”. Pure Cuba, il
Nicaragua e la Bolivia, quel che resta della sinistra bolivarista oggi
nell’America latina, denunciano l’interventismo statunitense e chiedono
che cessi.
Lo scontro politico in Venezuela è divenuto
istituzionale mercoledì, quando Guaidó, presidente dell’Assemblea
nazionale, l’unica Camera del Parlamento venezuelano, s’è proclamato
“presidente ad interim”, ottenendo l’immediato riconoscimento degli
Stati Uniti, di numerosi paesi dell’Osa, l’Organizzazione degli Stati
americani, e di altre capitali. Ad esasperare gli animi dell’opposizione
al regime, sono stati la crisi economica, il cui segno è l’inflazione
spaventosa, e il disagio sociale, testimoniato dai milioni di esuli
soprattutto verso Colombia e Brasile. Ma gli Stati Uniti hanno certo
soffiato sul fuoco, penalizzando con le sanzioni e agendo sulla leva del
prezzo del petrolio, l’economia venezuelana e incoraggiando
l’opposizione. Le forze armate e la magistratura sono, invece, dalla
parte di Maduro. Un sondaggio diffuso ieri, ma la cui attendibilità
appare molto dubbia, indica che oltre quattro venezuelani su cinque
considerano Guaidó il presidente legittimo e vedono
nell’auto-proclamazione un motivo “d’ottimismo e speranza”, mentre
appena un venezuelano su venti considererebbe Maduro il presidente
legittimo. Nel contempo, sempre secondo i dati di Meganalisis, quasi il
90% degli intervistati pensa che i militari non riconosceranno Guaidó e
quattro su cinque – addirittura – auspicano un intervento esterno, non è
chiaro se solo umanitario o anche armato. Il 70% sarebbe, inoltre,
contrario all’ipotesi di amnistia lanciata da Guaidó nei confronti dei
sostenitori di Maduro.