Il Fatto 26.1.19
Due presidenti e zero dialogo. Il Venezuela aspetta il “golpe”
“Usurpatore”
- Maduro non cede il potere e l’altro leader mobilita il Paese per
creare un governo di transizione. Né dall’Onu né dall’Europa arriverà
una soluzione
di Giampiero Gramaglia
Prove di
dialogo abortite in Venezuela tra il presidente la cui elezioni è
contestata, Nicolás Maduro, e il presidente auto-proclamato, Juan
Guaidó. Maduro, da poco insediatosi per un secondo mandato, dopo un voto
non democratico per larga parte della comunità internazionale,
prospetta un colloquio a Guaidó; Messico e Uruguay si offrono di
ospitare l’incontro, di tentare una mediazione. Ma Guaidó, il presidente
del Parlamento che mercoledì ha assunto i poteri esecutivi, fa sapere
che non intende partecipare a “dialoghi inutili e dilatori”: lui è
disposto a negoziare solo tre punti, la “fine dell’usurpazione”, cioè
della presidenza di Maduro, e la creazioni di un governo di transizione,
che porti al più presto a elezioni democratiche. E a chi lo accusa di
“colpo di Stato”, risponde: “Se mi arrestano, quello sì è un golpe”.
Elezioni democratiche le chiede anche l’Unione europea, seppure con toni
diversi da Paese a Paese, mentre Donald Trump mette tutto il peso degli
Stati Uniti dietro a Guaidó, sostenuto da larga parte dei Paesi
dell’Organizzazione degli Stati latino-americani, mentre la Russia e la
Cina sono i grandi “garanti internazionali” di Maduro. Che di Guaidó
dice: “Lo conosco, è un agente dei gringos, che lo hanno formato e lo
hanno fatto entrare in politica… Eseguirà i loro ordini…”.
Nel
Paese, la tensione resta altissima. Proteste, incidenti, scontri hanno
già fatto decine di vittime: un bilancio, provvisorio, stilato da
organizzazioni non governative, contava 26 morti all’alba di ieri; la
giornata di venerdì sarebbe poi stata meno cruenta. C’è l’impressione
che il bilancio avrebbe potuto essere più tragico, la deriva verso la
guerra civile più netta. Invece, i militari e gli apparati dello Stato
paiono essere fedeli al regime di Maduro, “chavista” e “bolivarista” nel
segno dell’eredità di sinistra di Hugo Chavez e della tradizione
latino-americana indipendentista e nazionalista. Con Maduro, c’è pure
l’apparato giudiziario, alla cui indipendenza non c’è da prestare troppo
credito. Guaidó si muove nel Paese, incontra sostenitori, propone una
mobilitazione continua, dà appuntamento oggi alla gente per nuove
manifestazioni e domani ai militari: promette un’amnistia “a coloro che
passeranno dalla parte della Costituzione”, anche a Maduro. Che, dal
canto suo, ribadisce di essere “l’unico presidente” di un Venezuela che,
di fatto, ne ha due, senza che nessuno riesca a governare un’economia
in crisi con inflazione inauditi.
La comunità internazionale si
muove in ordine sparso. Da Washington, John Bolton, il consigliere per
la sicurezza nazionale degli Stati Uniti, afferma che i beni Usa in
Venezuela sono affidati alla tutela di Guaidó, che starebbe per
rinnovare – con quale effetto e con quale autorità, resta da vedere, i
vertici dell’industria petrolifera pubblica venezuelana –. E il Brasile
offre a Maduro “un corridoio di fuga”.
Nell’Unione europea, dopo
la fuga in avanti “pro Guaidó” della Francia, Spagna e Portogallo, che,
con l’Italia – però quasi assente –, sono i Paesi più attenti
all’America Latina, provano a suggerire una linea comune: chiedono a
Maduro d’indire in Venezuela libere elezioni “entro una settimana”, pena
il riconoscimento di Guaidó.
Federica Mogherini, alto
rappresentante per la politica estera europea, si ferma un passo prima:
chiede un voto “libero e credibile”, ma non indica scadenze ed evita di
evocare il riconoscimento di Guaidó. Maduro non apprezza la mossa di
Madrid: “Spagnoli insolenti – dice –, se vogliono se ne vadano”. Da
Panama, dove Papa Francesco partecipa alla Giornata mondiale della
Gioventù, la Chiesa si schiera per il cambiamento: “Il popolo lo chiede e
noi con loro”, dice il vescovo Mariano Parra. L’Onu dovrebbe
pronunciarsi questa mattina: una riunione del Consiglio di Sicurezza è
convocata al Palazzo di Vetro, gli Usa saranno rappresentati dal
segretario di Stato Mike Pompeo. Difficile prevedere un’iniziativa delle
Nazioni Unite capace di sbloccare la situazione: incombono i rischi di
veti incrociati russo e americano. L’incertezza e la pericolosità della
situazione trovano conferma nella partenza da Caracas di parte del
personale diplomatico Usa: “È normale, in queste condizioni, accelerare
l’uscita del personale non essenziale”, spiega un portavoce
dell’Ambasciata.