Il Fatto 26.9.18
Calenda e orticelli (e la sinistra sparirà)
di Pietro Grasso
Il
pregio del Manifesto di Calenda è aver aperto un dibattito; il difetto
averlo impostato su presupposti confusi e discutibili. Un fronte
indistinto – che lui definisce liberal-democratico – in una competizione
proporzionale sarà facile bersaglio della propaganda gialloverde,
facendo loro il regalo di trasformare le elezioni europee in un
referendum sull’Europa.
Da giorni ripete “no a quelli LeU”, eppure
tra i promotori c’è Enrico Rossi, fondatore di Mdp, che con altri ha
dato vita a LeU. Sostiene poi che debba essere escluso chi cerca
alleanze nazionali con Lega o M5S. LeU non ha questa intenzione, ma
ritengo sia stato un errore politico grave non avviare dopo le elezioni
un dialogo col M5S: per vedere le carte di un possibile bluff e per non
consegnare larga parte di elettorato grillino alla Lega, come è avvenuto
(stessa posizione di Martina, altro entusiasta firmatario). Vista la
stima che nutro per Calenda voglio rassicurarlo: non aderirò al suo
manifesto.
Nella carta dei valori di Liberi e Uguali c’è un
concetto a me caro: cambiare il mondo, non aggiustarlo. È indubbio che
il centrosinistra, in Italia come in Europa, abbia adottato ricette
neoliberiste: in una spirale perversa la politica è stata sopraffatta
dall’economia e questa, a sua volta, dalla finanza. Il risultato ci
mostra cittadini indifesi di fronte alla ricchezza e al potere di pochi.
Calenda denuncia le diseguaglianze e invoca nuove politiche per la
crescita e lo sviluppo, ma avendo avuto ruoli importanti negli anni, dal
sostegno all’agenda Monti ai successivi incarichi, l’autocritica non
basta ad assegnare patenti di novità, eventualmente di trasformismo.
Bastano gli esempi dell’inserimento in Costituzione del pareggio di
bilancio, l’acquiescenza ai diktat tecnocratici sull’austerità e il Jobs
Act. Puntare poi, come si afferma nel manifesto, sugli Stati Uniti
d’Europa significa puntare su un’Europa degli Stati nazionali.
La
mia critica all’attuale assetto dell’eurozona parte da qui, da qui
l’impegno per una radicale trasformazione dell’Unione, a partire dal
modello intergovernativo e dalla revisione dei Trattati. Il primo
obiettivo è un welfare comunitario: abbiamo la stessa moneta, regole e
istituzioni comuni, dovremmo quindi prenderci cura insieme di chi rimane
indietro, per affrontare le diseguaglianze ma soprattutto per
redistribuire una ricchezza che tutti concorrono a produrre e di cui
pochi godono. Occorre mettere in discussione anche l’assetto attuale
delle famiglie europee, essere lievito in ciascuna di esse e coltivare
l’ambizione di costruire un’unica sinistra, in Italia e in Europa.
Tra
le sinistre c’è chi, da anni, si è uniformato alle ricette liberiste e
alle politiche economiche di destra, e chi è rimasto legato alla sola
testimonianza, con un impegno encomiabile sul piano personale ma non
efficace su quello collettivo.
Come noto, nonostante il deludente
risultato, continuo a credere che LeU debba trasformarsi in partito: una
forza, indipendentemente dal nome, che abbia consapevolezza della
complessità dei problemi e dirigenti non compromessi col passato. È
fondamentale organizzare esperienze politiche e civili che mettono al
centro della loro azione libertà e uguaglianza, ma tutto si ferma per
tentazioni dirigistiche, personalismi, e tatticismi. Si diceva “ognuno
guarda il proprio orticello”: ora molti si affannano a curare solo la
piantina sul proprio balcone. Penso onestamente che la “nuova forza
rosso verde” (il cui ideologo ha già firmato con Calenda) sia
velleitaria; non di meno dubito che la sinistra possa risorgere grazie a
un nuovo cartello elettorale affidato alla visibilità di singoli
individui. Non c’è alcun progetto di lungo respiro, nessuna prospettiva
che vada oltre le urne.
Nessuno dei dirigenti attuali, me
compreso, è all’altezza di questo compito: non servono i più giovani di
una vecchia generazione ma – indipendentemente dall’età – una nuova
classe dirigente. Servono parole d’ordine chiare sulle quali fondare non
solo un partito ma una comunità e la prospettiva di un Paese migliore
per cui battersi: istruzione gratuita fino alla laurea; patrimoniale sui
grandi redditi; riduzione dell’orario di lavoro a parità di salario;
investimenti pubblici per creare lavoro e trasformare in senso
sostenibile il nostro modello economico; difesa dei diritti; salvare le
persone: non accettare la politica degli accordi coi torturatori libici,
garantire accoglienza e integrazione in Europa.
Non vedo altro
orizzonte possibile: con meno di questo la sinistra nel nostro Paese è
destinata a scomparire, avendo lavorato alacremente alla propria
estinzione.
* Senatore di LeU ed ex presidente del Senato
di Pietro Grasso*